Un dialogo con Don Andrea
Cottolengo, le scuole dove l’inclusione non è una regola, ma la normalità
Chi entra in uno degli 11 istituti presenti in Italia impara tanto e ringrazia che nel nostro Paese esistano scuole così. Sono un’espressione della più vasta opera “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, fondata da San Giuseppe Benedetto Cottolengo nel 1828
Anche da adulti si può entrare in una scuola ed imparare tanto. Più che altro a colpire è il rapporto educativo tra gli insegnanti e i ragazzi, perché la scuola, ma vale anche per la formazione o i luoghi di aiuto ai ragazzi, non sono semplicemente un insieme di nozioni, regole, comportamenti da seguire – utili ma non sufficienti – ma rappresentano un percorso educativo che senza adulti veri, non riesce. Chi entra in una delle 11 scuole del Cottolengo presenti in Italia impara tanto e ringrazia che nel nostro Paese esistano scuole così. Sono un’espressione della più vasta opera “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, fondata da San Giuseppe Benedetto Cottolengo nel 1828. Il “carisma” che ha fatto nascere queste realtà richiama all’inclusione e non a caso sono 1.200 i ragazzi ed i bambini che le frequentano e il 12,8% hanno una disabilità, anche molto grave.
Un dato percentuale che nelle scuole statali non arriva al 3,5%. Spesso sono scuole presenti nelle periferie o nei piccoli centri, ovvero laddove la scuola fatica ad esserci. Sono scuole paritarie, meglio sono scuole pubbliche non statali, perché sarebbe l’ora di evitare divisioni che sembrano solo ideologiche. L’inclusione non è una regola ma la normalità, si fa scuola con la volontà di includere perché questo fa bene e fa crescere anche chi una disabilità non ce l’ha. Il loro moto spiega meglio di ogni altra parola: “Le scuole che non fanno la differenza”.
Trovo Don Andrea, fisico e barba da giocatore di rugby, mentre sta sistemando per la chiusura invernale un albergo ad Anzio, un albergo del tutto particolare, sul mare e privo di barriere, addirittura dalle camere l’ascensore porta direttamente sulla spiaggia. Oltre a chiudere un albergo per la pausa invernale, Don Andrea dirige tutte le scuole italiane del Cottolengo da Torino a Palermo, dagli 0 ai 99 anni. Come – gli chiedo – 99 anni? “L’inclusione per noi è totalizzante – risponde – e coinvolge tutti, i bambini ma anche i loro nonni e non per la sola festa finale o la recita ma per le lezioni, le attività, le visite esterne. Sia con i grandi sia con i piccoli. Da noi si collabora tutto l’anno con l’ospedale, la casa di cura o la RSA, un percorso che fa bene ai malati o agli anziani ma fa benissimo ai bambini o ai ragazzi. Fa tutto parte di un percorso educativo e di crescita, di inclusione”. Da questi percorsi ne sono nati altri, come quello con alcuni Istituti Carcerari e con Direttori che hanno consentito ad alcune classi di ragazzi di andare in carcere e ad alcuni detenuti di intervenire in classe. Il racconto delle loro storie, degli sbagli fatti, dei percorsi di reinserimento lavorativo, sono per i ragazzi fonte di insegnamento più di mille circolari o note. Prosegue Don Andrea, “In un’epoca in cui i giovani sono collegati quasi 24 ore al giorno con un mondo virtuale, noi cerchiamo di ribaltare tutto e di far dialogare i giovani con la realtà”.
Non è che in queste scuole la tecnologia sia messa in un angolo, anzi. Da diversi anni le classi hanno telecamera e sistema di video collegamento, ben prima della DAD, ma con una particolarità. Qua i microfoni sono ambientali e non solo diretti verso il docente, metodo nato per i ragazzi in ospedale che dovevano seguire la lezione a distanza, perché è utile far sentire tutto quello che accade in classe, partecipare in qualche modo alla vita di classe non semplicemente ad una lezione. L’inclusione vale anche dopo la scuola. Pochi anni fa con l’alternanza scuola-lavoro alla scuola del Cottolengo di Torino provano ad inventarsi un’attività che potesse coinvolgere tanti ragazzi, molti di questi con varie disabilità, alcuni anche molto gravi.
Tutti però volevano partecipare, insieme. È una bella squadra quella che ha fatto nascere l’esperienza di “Chicco Cotto”, insieme a Lavazza, si producono capsule di caffe. Adesso quell’esperienza è diventata “Break cotto” multinazionale presente con i suoi prodotti in cinque paesi europei e che troviamo per esempio nelle macchinette automatiche lungo i binari delle stazioni. Ancora adesso fa inclusione, forma, accompagna ed assume ragazzi, tutti però. E in questa inclusione ed educazione globale rientra a pieno titolo anche lo sport. Qua gli allenatori alla fine ai ragazzi chiedono sempre: “Ci siamo divertiti?”. Questo non significa abbassare il livello ma crescere insieme. La GiuCo nasce nel 1997 con questo intento, vari sport e stesso concetto: si gioca insieme. Tutti. Una esperienza bella e a tratti emozionante ma anche di successo sportivo visto che quest’anno tre atleti della GiuCo Rugby sono stati chiamati dalla nazionale under 21.
Infine il rapporto con gli adulti. Chiedo a Don Andrea se anche su questo versante, che conta tanto nel percorso educativo per i ragazzi, nota aspetti in controtendenza rispetto ad anni passati. “Si – mi risponde subito – sia con i genitori che con gli insegnanti. Noi vogliamo puntare sempre molto nel dialogo con i genitori, perché da sola la scuola non può fare. È necessaria una collaborazione. Noi ogni fine anno scolastico riuniamo tutti i genitori e presentiamo il calendario dell’anno successivo. Della serie non ci sono scuse, tu sai cosa e quando lo facciamo, ci devi essere. Sugli insegnanti, per noi è fondamentale la ‘continuità didattica’. Cambiare insegnante è traumatico, per un ragazzo con disabilità lo è molto ma molto di più. Siamo una scuola paritaria e quando arriva la chiamata ad un insegnante da parte dello stato, questa continuità viene meno. Ma quello che mi colpisce – prosegue Don Andrea – è che la risposta degli insegnanti alla chiamata dello stato, non sia più così scontata, segno di un’affezione ai ragazzi, al metodo creato, al percorso iniziato”. Anche questo dimostra che siamo dentro “scuole che non fanno la differenza” ma in un altro verso la fanno, eccome.
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