“Il dono è vita e con questo bellissimo gesto possiamo salvare tante persone, soprattutto i bambini. Non è una situazione facile per loro”. È questo l’appello che fa Partizia Romano, 40enne, mamma di due figli che conosce bene questo dramma e lo tocca con mano ogni giorno. Due mesi fa ha avuto un infarto e da allora parte del suo cuore ha smesso di funzionare. “Sono stata una miracolata”, dice. È ricoverata all’Ospedale Monaldi di Napoli, nel reparto dedicato ai trapianti di cuore, una vera eccellenza in Italia. Con lei ci sono altri ricoverati che come lei attendono il trapianto da mesi e mentre aspettano non possono uscire dal reparto e nemmeno incontrare parenti e amici. Ed è da lì che parte il loro appello a donare gli organi: “Non ci sono donatori e pochi sanno che basta inserire la volontà a donare nei dati della carta di identità”.

Giuseppe De Martino, 40 anni a fine mese, è uno dei pazienti del reparto di Assistenza Meccanica diretto da Andrea Petraio. È in lista d’attesa per avere un cuore nuovo da 4 anni e da 6 mesi è ricoverato e il suo nome compare nella lista di emergenza. “Il mio cuore senza questo farmaco a cui devo stare attaccato sempre peggiora subito – racconta Giuseppe – Ho dovuto impiantare anche il pacemaker per evitare l’arresto cardiaco”. Poi c’è Pina Ferrara che dal 2 ottobre è ricoverata nello stesso reparto insieme a sua figlia Aurora che ha 10 anni e non può uscire dall’ospedale perché è attaccata al Berlin Heart, il cuore artificiale per bambini che le ha salvato la vita.

“Il cuore artificiale tiene in vita Aurora ma deve stare 24 ore su 24 attaccata alla corrente – racconta Pina – Il dottor Andrea le ha salvato al vita. Quando siamo arrivate qui aveva 12 ore di autonomia e lui me l’ha salvata, gli sono molto grata”. Mentre Aurora aspetta un cuore nuovo che non arriva da mesi, non può muoversi dal reparto, per lei la scuola è al massimo la Dad e oltre alla mamma, ricoverata con lei, non può vedere nessuno, nemmeno il papà o la sorellina. Il Covid poi ha acuito tutte queste difficoltà riducendo le occasioni di visita a pochissimi minuti qualche volta al mese. La solitudine dunque aggrava ancora di più il dolore di quell’attesa estenuante e senza tempo. “Ci troviamo in un reparto in cui grazie al dottor Petraio e alla sua equipe, cercano di fare l’impossibile, per farci stare bene e accontentarci però purtroppo è un’attesa dolorosa”, continua Giuseppe.

Bisogna aspettare – continua Patrizia – non c’è un tempo certo: possono passare giorni mesi o anni prima che arrivi un cuore che ti salva la vita con il trapianto. Tutti noi qui abbiamo famiglia, figli, vorremmo tornare a casa”, dice presa dal pianto di chi non ce la fa più. Tra loro c’è anche Antonio, un ragazzo di 18 anni che deve stare da solo in ospedale senza nemmeno la mamma. Tra loro si danno man forte e si aiutano a vicenda ma l’attesa e sfibrante per tutti, pazienti e familiari. Il loro dolore si tocca con mano.

“Da 8 mesi non arrivano cuori per il trapianto”

“Stare qui è molto difficile anche se siamo in un reparto molto accogliente, ringraziamo il dottor Petraio, e alle associazioni che fanno molto doni soprattutto ai bambini”, dicono. Ma il problema è enorme: “Da 8 mesi non arrivano cuori per il trapianto – racconta Giuseppe – Il nostro dottore soffre moltissimo di questo perché ci vede stare male ma non può fare nulla per aiutarci. C’è molta frustrazione. Per fortuna il mio cuore risponde ancora bene a questo farmaco, ma quando finirà e il mio cuore non risponderà più, che ne sarà di me? Anche il Berlin Heart non ha una durata a vita. Dopo che facciamo?”.

Non ci sono donatori e noi non possiamo tornare a casa perché il Berlin Heart è una macchina che non può uscire dall’ospedale – continua Pina – A mia figlia manca tutto, non ce la fa più. A volte mi chiede: ‘Mamma ma perché stiamo ancora qua? Perché è successo proprio a me?’ E io non so cosa risponderle”. “A volte il dottore vorrebbe farmi uscire un po’ giusto per prendere un po’ d’aria ma la mia situazione non lo permette”, dice Patrizia.

“Per dare il consenso alla donazione basta segnalarlo con al carta di identità”

Giuseppe, Patrizia e la piccola Aurora sono nella lista dei trapianti urgenti ma non ci sono donatori. Rischiano ogni giorno la vita. Un problema enorme alla cui base per il gruppo di trapiantati, che fanno parte dell’Associazione “Donare è vita”, c’è la disinformazione. “Le persone non hanno capito ancora l’importanza di dichiarare la loro volontà a donare quando per esempio vanno a fare la Carta di identità – spiega Giuseppe – Sbagliano soprattutto gli organi preposti: quando si va a fare la carta di identità gli addetti dovrebbero chiedere il consenso alla donazione degli organi. Ma quasi nessuno lo fa e pochi cittadini lo sanno. Nemmeno io lo sapevo. Dovrebbe invece essere il contrario: se una persona non vuole donare dovrebbe dichiararlo e non viceversa”.

“Nemmeno io sapevo di questa possibilità di dare il consenso con la carta di identità – dice Pina – Dobbiamo donare, è troppo importante. Appena potrò uscire da qua è la prima cosa che farò. Uno non ci pensa, lo so. Però è un gesto che permette di salvare altre vite”. Le parole di Patrizia sono fortissime nel cercare di spiegare il suo difficile stato d’animo: “Non è bello sperare che una persona magari possa morire per donare gli organi a un altro, non è facile accettarlo – spiega – Purtroppo però siamo nati che dobbiamo nascere e morire. Potrebbe succedere all’improvviso anche a noi che siamo in attesa di trapianto e posso donare un organo a qualcuno e salvargli la vita”.

“Ogni giorno succedono incidenti ma non ci sono donatori – dice Giuseppe – Ma se una simile tragedia succede una persona può fare in modo che quella morte non sia vana. Può aiutare altre persone a riprendersi al vita”. Giuseppe ha fortemente creduto nella sanità campana tanto da essere tornato da un’altra regione per curarsi nella sua. “Prima ero a Pavia ma sono tornato per farmi curare nella mia regione e da questa equipe che è un’eccellenza. Però se non arrivano gli organi non possono operare, non possono fare nulla”. E il sentore di Giuseppe è anche che per la disinformazione, al Sud sia meno diffusa la cultura della donazione degli organi rispetto al Nord. “Da tempo abbiamo contestato ad istituzioni regionali e nazionali una carenza gravissima organizzativa in termini di procurement di organi e nel contempo vergognosi meccanismi di assegnazione degli organi con sotto liste regionali e debiti e crediti di organo risolti in compensazioni di organo tra diverse aree del paese in un sistema federalista delle assegnazioni che non assicura possibilità di accesso alla lista nazionale da parte dei cittadini”, ha detto Carlo Spirito di Federconsumatori.

L’Associazione “Donare è vita” di cui fanno parte persone in attesa di trapianto o già trapiantati o chi ha il cuore artificiale, genitori e familiari, si impegna fortemente a divulgare informazioni su questo delicato tema che però può cambiare la vita a tanti. E lo fa anche il dottor Andrea Petraio: “Lui ha una marcia in più – dicono i suoi pazienti – affettuoso con tutti, soprattutto con i bambini, è umano, per lui non è un lavoro, è passione. La sua missione è quella di vincere la battaglia e salvare quante più persone è possibile. Da 8 mesi non arrivano cuori e lui ne soffre”. Per Giuseppe Pina e Patrizia non è stato facile raccontarsi al Riformista, con tutto il loro dolore, ma per loro è troppo importante lanciare un messaggio: “Dare la vita a un’altra persona è un gesto bellissimo, mettetevi la mano sul cuore e donate”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.