Ci sono i romanzi gialli. Ma ci sono anche i gialli reali. “Chi è l’assassino?”, è la domanda senza risposta di tanti casi, quelli in cui più si va avanti e più tutto s’ingarbuglia. Quando nell’agosto del 1990 viene uccisa una ragazza, Simonetta Cesaroni, sul posto di lavoro dove si recava due giorni alla settimana in un gran palazzo nella strada borghese di Prati, a Roma, la famosa via Poma, presto si capisce che la storia è bruttissima e anche parecchio strana. Era un agosto caldo come tutti gli agosti. Si era in quell’Italia ancora dentro l’effetto del boom degli anni Ottanta, i soldi giravano e il lavoro, o i lavoretti come quello di Simonetta, si trovavano con una certa facilità. Il delitto di via Poma squarciò quel clima molle di un Paese benestante ma perennemente inquieto. Disse in quei giorni Corrado Augias, grande cultore di letteratura poliziesca: «Questo è uno di quei delitti nei quali o l’assassino si scopre subito o non si scopre più». Aveva ragione.

“L’intrigo di via Poma”

Trentacinque anni dopo, infatti, siamo ancora qui, allo stesso punto: chi ha ucciso Simonetta Cesaroni e perché? Adesso sul delitto di via Poma esce un altro libro – ne sono stati scritti molti – che fa un po’ il punto e soprattutto contiene qualche novità. “L’intrigo di via Poma” (Baldini + Castoldi) è il grosso volume realizzato dai giornalisti Giacomo Galanti e Gian Paolo Pelizzaro, un testo dove c’è praticamente tutto e che soprattutto contiene «il dattiloscritto perduto» (questo è l’elemento nuovo), vale a dire il testo di un libro mai uscito – “L’intrigo” – incredibilmente sparito e ora ritrovato che tra l’altro «documenta le presenze dei dipendenti dell’ufficio di via Poma nel periodo in cui risultavano scomparsi».

I chiarimenti sul delitto di Via Poma

Già, chi ci fu in quei giorni nell’ufficio dell’Aiag (Associazione italiana alberghi della gioventù) dove la povera ragazza lavorava da qualche mese al martedì e al giovedì? Simonetta era una bella ragazza. Tutti ricordiamo la foto di lei sulla spiaggia, in costume intero bianco, quei tanti ricci a incorniciare il viso tranquillo: e l’aspetto sessuale o sentimentale fu a lungo la pista seguita. Non era quella giusta. Ci sono stati suicidi (il primo accusato, il portiere dello stabile Pietrino Vanacore), lunghi processi con condanne poi annullate (il fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, condannato a 24 anni poi assolto), ipotesi di tutti i tipi. Gli anni sono passati tra depistaggi, incurie, prove sottratte, opacità varie: nella vicenda sono entrati persino i soliti Servizi segreti. Roba grossa. Galanti e Pelizzaro hanno fatto un grosso lavoro. Poco tempo fa il gip ha respinto la richiesta di archiviazione. Il caso di via Poma non è chiuso. Ma non sarà per niente facile riaprirlo.