Ieri mattina, ospite del Palazzo dell’Informazione di Adnkronos a Roma, si è tenuto un incontro fuori dall’ordinario. Perché è del tutto straordinario l’appuntamento che ha messo insieme ospiti competenti e appassionati senza etichette diverse da quelle dei loro centri di ricerca internazionali.

Questo è stato il “Digital Peacebuilders: Promoting Coexistence, Antisemitism Awareness, and Deradicalisation through Social Media”, un appuntamento che ha intrecciato ricerca, policy maker ed esperienze sul campo per affrontare antisemitismo e radicalizzazione nello spazio digitale. Dopo la registrazione e i saluti, il programma ha offerto tre contributi ad alto tasso strategico, seguiti da un panel operativo con attivisti e collegamenti internazionali. Ad aprire i lavori, la tedesca Alexander Ritzmann (Counter Extremism Project, Germania) ha ricostruito la mappa delle reti antisemite organizzate, illustrando metodi di identificazione e contrasto che combinano intelligence open-source, analisi dei flussi e cooperazione pubblico-privato. L’obiettivo: smontare le architetture dell’odio, intervenendo su nodi, finanziamenti e meccanismi di amplificazione algoritmica.

È poi intervenuta Rivka Rosenberg (Bar-Ilan University, Israele) con un focus sull’uso delle tecnologie di frontiera — dall’AI al machine learning — per una risposta resiliente. Ha fatto capire come il tracciamento semantico, la rilevazione precoce, l’alfabetizzazione digitale e tutela delle comunità vulnerabili sono le quattro leve indicate per passare dal monitoraggio alla prevenzione effettiva. Con Evan Kapros (Mozaika, Spagna) il baricentro si è spostato sull’etica dei sistemi: integrare i valori nella progettazione — dall’UX alle policy di moderazione — come catalizzatore di pace. L’impianto valoriale, ha sottolineato, non è ornamento ma infrastruttura: «Orienta scelte di piattaforma, incentivi e accountability». Dopo una breve discussione e la pausa caffè, il panel con gli attivisti ha portato sul palco pratiche e strumenti: Karoline Preisler ha condiviso modelli di contro-narrazione, engagement locale e protezione degli utenti; John Aziz è intervenuto in collegamento live; Ali Shaa’ban ha contribuito con un videomessaggio. Ma è stata l’attivista siriana naturalizzata tedesca Rawan Osman ad avere il maggior impatto. Ha parlato della necessità di «Dare vita a un ecosistema digitale fatto di autorevolezza e credibilità, unendo competenza e chiarezza da contrapporre a una sconfortate mareggiata di disinformazione antisemita».

La moderazione di David Sayn ha tenuto insieme prospettive accademiche e operative, dal fact-checking collaborativo ai protocolli di segnalazione, fino alle reti transnazionali tra società civile, istituzioni e piattaforme. Il messaggio della giornata: contro l’antisemitismo digitale servono dati, etica e alleanze. Stefania Manca, del Cnr, ha guidato la regìa dell’incontro: «Abbiamo creato un ponte tra la ricerca accademica e il fronte dell’attivismo digitale. Un dialogo strutturato in due parti che ha provato a unire due mondi che non solitamente non comunicano». La professoressa ha insistito sulle prospettive: «Voglio coltivare l’ottimismo, malgrado il panorama disperante: bisogna creare ponti tra tutti gli attori impegnati nel compito di contrastare l’antisemitismo e la debordante campagna di disinformazione. Se gli esperti riconoscono le realtà dell’attivismo digitale e viceversa, si costruisce un fronte più coeso, capace di fare sinergia».

Il valore aggiunto è quello del «Coinvolgimento di attivisti giovani, impegnati nel costruire una rete, un network tra coloro che trovano insopportabile il momento di propaganda pro-Hamas. Una propaganda forte perché ben finanziata, ben strutturata. Le loro risorse sono impareggiabili, per noi. Ma ci sono tante singole persone che devono mettersi insieme e fare squadra, anche con il ricorso alla comunità accademica, che deve uscire dalla sua bolla».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.