Cinema sempre più in crisi, solo la Marvel conquista il pubblico
Doctor Strange, il multiverso sbanca al botteghino
A pochi mesi da Spider-Man: No Way Home, campionissimo al box office e primo film Marvel che esplora il concetto di multiverso, arriva in sala, dal 4 maggio, Doctor Strange nel Multiverso della Follia, secondo capitolo delle avventure dello stregone interpretato da Benedict Cumberbatch. Era ormai chiaro sin dai tempi del successo di Avengers: Endgame che i film sui supereroi Marvel fossero gli unici a portare la gente in massa in sala poiché gigantesche metafore sulla realtà, in grado di assolvere ad una funzione epica, come solo la mitologia in letteratura ha saputo fare in passato. Perché dunque, in un periodo dove la sala piange, dovremmo andare a vedere uno stregone che viaggia attraverso vari possibili universi per sconfiggere il cattivo di turno? Lasciando da parte la schiera dei milioni di fan della Marvel garanzia di pubblico, rispondiamo a chi ancora non è stato catturato dal vortice.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia va visto innanzitutto perché riesce a elaborare un concetto di fisica molto complesso, quello dell’ipotetica esistenza di molteplici universi, nella maniera più stimolante e accattivante possibile: il più arrogante tra i supereroi deve confrontarsi con versioni diverse di se stesso e con esse, anche con la propria essenza, gli sbagli e i rimorsi. Lo conferma lo stesso Benedict Cumberbatch nell’incontro con la stampa mondiale: “Questo film si concentra ad esaminare quali sono i difetti di Strange, le debolezze, colpe, la sua umanità così come i suoi punti di forza, per comprenderlo al meglio. In un multiverso dove incontra varie versioni di se stesso, è per lui come guardarsi allo specchio, una specie di autoterapia strana e spettacolare”. Accogliere l’idea dell’esistenza di più dimensioni parallele che ospiterebbero delle versioni diverse di noi, più felici, più tristi, più realizzate, significa far diventare un film di supereroi anche qualcosa di molto personale per noi spettatori. Domande filosofiche fanno capolino.
“Non so se il multiverso esista realmente – dice intanto Cumberbatch – non voglio averci niente a che fare. Penso che la vita sia già abbastanza complicata così com’è con un solo universo, figuriamoci con versioni multiple di esso”. Mitologia e teoria delle stringhe a parte, ai film Marvel viene spesso accostato il concetto di umanità per definire personaggi dalle qualità sovrumane, mistiche, extraterrestri. Il racconto di uno stregone intento a difendere una ragazzina dal villain che vuole rubarle il potere di saltare da un universo all’altro, cosa può raccontare di umano? Sicuramente la parabola di crescita di un uomo arrogante che si è dovuto confrontare varie volte con i suoi limiti.
“L’umanità dei personaggi Marvel è ciò che porta la gente a vedere questi film – conferma Cumberbatch. Doctor Strange è un anticonformista, un outsider”. Se l’umanità del Doctor Strange non fosse abbastanza per portarci al cinema, ci aggiungiamo quella di Wanda Maximoff, personaggio interpretato da Elizabeth Olsen sin da Captain America, che l’ha vista crearsi un mondo fittizio ed addirittura dei figli per sopperire al grande dolore per la perdita dell’amore della sua vita, Visione. Wanda è una madre che soffre senza i suoi bambini che sono per lei più reali di qualsiasi altra cosa e non c’è niente di più doloroso e umano di questo. “Wanda è cresciuta, è diventata una donna ed ha imparato ad accettare il suo potere da essere mitico e il suo destino. In questo film il suo percorso di accettazione prosegue” spiega Olsen. “Interpretando questo personaggio ho cercato di essere leale con lei e difendere il suo punto di vista nel bene o nel male. Lei inizia questo viaggio sentendosi sola. Ma la perdita e il dolore la portano a ricercare il potere che ha dentro di sé”.
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