Nel frattempo arriva la terza ingiunzione. A questo punto, mi arrendo. Vergognandomi come un ladro, pago. Sono stato accusato per qualcosa che non ho fatto; sono stato riconosciuto innocente; devo pagare al posto del colpevole: un criminale nazista condannato all’ergastolo per le Ardeatine. Mi brucia, non lo nascondo; ma più di tutto il silenzio, l’indifferenza di chi avrei voluto trovare al mio fianco e invece mi ha voltato le spalle. Ecco perché mi “dimetto” da cittadino, mi considero parte della folta legione dei sudditi di questo disgraziato Paese.

Colgo l’occasione per ringraziare Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma: volevano pagare loro al mio posto. Preferisco che quella somma sia dirottata verso qualche ente che assiste i membri più bisognosi della comunità. Ringrazio i colleghi che mi sono stati vicini. Assicuro che ricordo bene quanti hanno taciuto, voltato la testa senza muovere un dito. È un ricordo che porterò sempre con me. L’ultimo gesto è rivolgermi a Lei, Signor Presidente, che finora non mi sono sognato di scomodare, sapendola impegnata in cose molto più urgenti, necessarie, importanti. La mia vuol essere solo una notifica.

Da oggi nel mio studio campeggia, incorniciato, il modulo dell’“Agenzia delle entrate” che intima, pena il sequestro, di pagare 302 euro e 23 centesimi per le spese processuali sostenute.
Ora non chiedo più nulla. Non mi sento più cittadino con doveri che osserva (il pagare, per esempio le tasse al centesimo; credere che votare non sia solo una facoltà, ma anche un atto di rispetto verso le istituzioni); da oggi mi considero un suddito oppresso da una entità nemica. Vinto e preda di radicale amarezza; vittima di quello che ritiene essere un sopruso consumato in nome del popolo italiano. Mi scusi per il tempo che le ho sottratto. Le auguro buon lavoro e buona giornata.