Una giustapposizione meccanica
Elezioni regionali, il campo largo rischia l’ennesima somma algebrica senza anima che può spaccarsi sulle rivendicazioni pro-Pal
Che cosa è diventato oggi, quando impazza la moda pro-pal, il centrosinistra? Una coalizione con un’idea comune del mondo? Oppure soltanto un insieme eterogeneo di soggetti che condividono l’urgenza di battere la destra senza una bussola, senza una lingua comune, senza un progetto politico? Ecco la coalizione che dovrebbe contrapporsi al blocco guidato da Giorgia Meloni è sempre più una giustapposizione meccanica.
È un contenitore slabbrato dove tutto e il contrario di tutto devono convivere a forza. Il risultato è l’impotenza strategica. I diktat di Giuseppe Conte, che pretende liste, leadership e candidati calati dall’alto, non aiutano la costruzione di una proposta larga e credibile. Le incertezze, i silenzi, le reticenze di Elly Schlein allontanano molti elettori indecisi, quelli che magari voterebbero ancora il Partito Democratico ma non ne riconoscono più il carattere riformista, europeista e garantista del soggetto politico che era stato fondato al Lingotto, tanti anni fa, da Walter Veltroni.
Il rischio è che il famoso campo largo si riduca all’ennesima somma algebrica senza anima, un puzzle impazzito più orientato a trovare compromessi tattici che a costruire una identità politica da centrosinistra, riformista e maturo. La prova del nove arriva presto, perché saranno le elezioni regionali del prossimo autunno. In particolare c’è una novità che potrebbe diventare un punto di svolta di questa tornata elettorale, quella della Calabria, dove pure si andrà al voto e dove, per la prima volta, dopo qualche anno si potrebbe rimettere in moto un mondo rimasto finora marginale. Se si votasse, per esempio, per un garantista come Mario Oliverio, in quella regione, si riaprirebbe una pagina di storia, e non solo locale. Parliamo, per esempio, di quel mondo che appunto nel PD non si ritrova più, ma anche dei centristi già organizzati, Azione, Italia Viva, Più Europa, e poi di tutte quelle liste civiche che ancora credono in una politica fatta di competenze, di amministrazione, di responsabilità, di esperienza.
Qui si misura il potenziale del Centro, non come categoria geometrica, ma come spazio politico, pragmatico e, appunto, riformista. In molte regioni le dinamiche locali possono diventare i laboratori reali di un’alternativa. Non essere semplicemente contro la destra, ma per un modello di governo efficace, europeista, laico, concreto, fatto di quelle mille cose vere e urgenti che rientrano nella competenza delle regioni e che un programma regionale, riformista, pragmatico, dovrebbe mettere in piedi.
Se il centrosinistra nazionale sta arrancando, rimane ostaggio di queste contraddizioni, saranno i territori a dover mostrare che un altro modo di far politica è possibile. Una politica che non urla, non si chiude nell’ideologia e non si rifugia nell’identitarismo, qualsiasi cosa questo voglia dire. Da qui si può ripartire, da qui si dovrebbe ripartire, infine. Anche se, lo sappiamo, sarà anche questa volta una strada in salita. Certo che fare le campagne elettorali sui territori, localmente, in un centrosinistra che parla solo di Gaza, suona sempre più paradossale. I sondaggi di settembre diranno se la nostra intuizione sarà confermata.
Radicalizzando le posizioni e schiacciandosi sulle rivendicazioni pro-palestinesi, l’elettorato di Centro potrebbe trovarsi a scivolare inesorabilmente verso il centrodestra.
© Riproduzione riservata







