Come si è visto in questi giorni, la vicenda apparentemente solo giudiziaria che, caso strano, ha colpito 3 personalità politiche italiane – da un lato Federica Mogherini, dall’altro lato due parlamentari europee del Pd, una Alessandra Moretti a cui è stata tolta l’immunità parlamentare, cosa mai accaduta nel passato, e l’altra Elisabetta Gualmini a cui l’immunità invece è stata mantenuta – in effetti presenta molteplici aspetti.

Non c’è solo un problema di garantismo – subito sollevato dal Riformista, con un articolo di Aldo Torchiaro che si è differenziato sia dal moralismo peloso di alcuni giornali di destra, sia dal pavido silenzio del PD – ma questioni politiche di notevole rilievo. Sulla vicenda Mogherini-Gualmini, ha subito sparato a raffica la portavoce russa Zakarova ed è arrivata a collegare la corruzione presente nell’Unione Europa con quella ucraina. La cosa paradossale, poi, è che a condurre questa battaglia moralista è la nomenklatura russa, notoriamente caratterizzata da una straordinaria corruzione interna. Ma c’è di peggio: la cleptocrazia è uno dei meccanismi usati dalla Russia per condurre la guerra asimmetrica in Europa. Negli anni passati gli oligarchi russi sono calati in Europa per acquisire non solo residenze di lusso, squadre di calcio, grandi alberghi ma anche giornali, leader politici e partiti.

E le cose non si fermano qui: il Belgio è nell’occhio del ciclone ed è sotto il fuoco della Russia di Putin. Nel Paese sono collocati gli asset russi sequestrati che dovrebbero essere utilizzati per sostenere l’Ucraina. Finora il Belgio ha sollevato molte obiezioni. Sui giornali di questi giorni è emerso un altro pezzo di verità: il premier belga è stato minacciato sul piano personale dalla Russia. Di conseguenza, tutti i conti tornano, dall’azione della magistratura belga, con obiettivi mirati per sconvolgere gli equilibri dell’Unione Europea, alla latitanza del gruppo dirigente dello Stato, sottoposto a fortissime pressioni, anzi a ricatti.

A essere colpiti dalla magistratura e dalla polizia belga, a parte la greca Eva Kaili, sono state sempre personalità politiche italiane. L’Italia a sua volta, da Mattarella in giù, è nel mirino dei portavoce russi, mentre per parte loro, da un lato Salvini dall’altro lato Conte, e anche i giornali la Verità e il Fatto conducono due “belle” battaglie: una filo Putin a l’altra pro-Pal, con evidenti connessioni fra l’una e l’altra. Per un verso Salvini ha bloccato il decreto che prevede gli aiuti militari all’Ucraina; a sua volta la maggioranza del Pd sta sparando a palle incatenate contro il disegno di legge sull’antisemitismo presentato dal senatore Delrio, con la firma di altri esponenti del gruppo parlamentare del Pd.

Sul terreno della geopolitica gli schieramenti reali sono molto diversi da quelli formali. Dalla inusitata reazione del capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, al disegno di legge sull’antisemitismo presentato dal Delrio emerge un altro disegno sensazionale. La maggioranza del Pd raccolta intorno alla Schlein considera che del campo largo debbano far parte in modo del tutto organico le associazioni palestinesi esistenti in Italia che, come tutti sanno, sono collegate alla Fratellanza musulmana, la quale a sua volta ha rapporti con Hamas. Di conseguenza, questa sconfessione di Delrio da parte della maggioranza del Pd apre un enorme problema riguardante la credibilità del partito sul terreno internazionale rispetto alla questione dell’estremismo palestinese. Ma il rovescio della medaglia riguarda anche il problema dell’Ucraina.

Il recente documento ideologico espresso da Trump con un attacco durissimo all’Unione Europea pone due grandi temi. Da un lato, se esiste ancora una nozione unitaria di Occidente, come ogni giorno afferma Giorgia Meloni e se, in seguito a queste prese di posizioni addirittura ideologiche di Trump, ci sia una tenuta di quest’ultimo sulla difesa della Ucraina nei confronti di Putin. Tra Kyiv e Mosca, le trattative non hanno fatto un passo in avanti per una ragione semplice ed elementare: Putin non ha alcuna intenzione di fare una pace che non consista nella resa dell’Ucraina e nell’eliminazione dalla scena di Zelensky. Restano alcune questioni di fondo: in primis se ci sarà o meno una risposta europea unitaria a questo sconvolgente documento che esprime il pensiero trumpiano. Finora Giorgia Meloni ha tenuto sulla questione Ucraina affermando di svolgere un ruolo positivo per mantenere l’unità dell’Occidente fra Trump e l’Unione Europea.

Questa linea diventa molto più difficile dopo il documento di Trump e il comportamento assai ambiguo nella trattativa con Putin da parte degli emissari statunitensi. Per di più, all’interno del governo in tutti questi giorni Salvini sta giocando di sponda sia con Trump che con Putin. Ma c’è anche il rovescio della medaglia costituito dall’incredibile mancanza di credibilità della maggioranza del Pd nei rapporti con le associazioni palestinesi italiane. Siamo appena alle prime battute di una inevitabile chiarificazione che deve avvenire sia su questioni assai concrete sia sulla prospettiva più generale. Sul piano concreto e immediato bisogna vedere se entro dicembre il governo italiano approverà l’ennesimo decreto per inviare le armi alla Ucraina, e se decollerà il progetto espresso da Crosetto di affermare un disegno italiano di difesa sul terreno della guerra ibrida, che la Russia sta conducendo già da alcuni anni nei confronti dell’Europa.