Non sono stati trovati segni di violenza sul corpo
Giacomo Sartori, risolto il giallo della morte: la Procura verso l’archiviazione del caso. “Si è suicidato”
Il suo corpo senza vita era stato ritrovato lo scorso 24 settembre, alcuni giorni dopo la sua scomparsa, nelle campagne di Casorate Primo, in provincia di Pavia. Un luogo dove non era mai stato prima. Giacomo Sartori aveva 30 anni, era originario di Mel, in provincia di Belluno, e lavorava come tecnico informatico. Di lui si erano perse le tracce il 17 settembre, dopo aver subito il furto dello zaino- che conteneva portafoglio, pc e cellulare aziendali- in un locale di Milano.
Le indagini dei carabinieri e della Procura di Pavia hanno portato a un’unica soluzione, scrive Il Corriere della Sera: si è trattato di un suicidio. Il pm Andrea Zanoncelli è pronto a chiedere al giudice l’archiviazione del caso.
La vicenda
Il cadavere di Giacomo era stato individuato dai carabinieri del comando provinciale di Milano vicino all’agriturismo Cascina Caiella. Una zona in cui si stavano concentrando le ricerche dopo il ritrovamento della sua auto, una Volkswagen Polo, che era stata chiusa e parcheggiata regolarmente, nel territorio del comune di Casorate Primo.
Il corpo del 30enne tecnico informatico era stato trovato impiccato a una quercia con una catena e un cavo elettrico. L’inchiesta ha poi seguito lo stesso protocollo previsto per gli omicidi. Sono state effettuate analisi sulle telecamere, ma anche indagini informatiche, biologiche e medico legali. Non sono venuti alla luce dei killer, né ladri che avrebbero convocato Giacomo per trattare con lui la restituzione del computer aziendale o del cellulare. Anzi, lui non avrebbe mai seguito i loro segnali: infatti delle ipotesi inizialmente vagliate dagli inquirenti è che il 30enne stesse seguendo il tracciato del telefono rubato nello zaino grazie ad una app di geolocalizzazione.
Nessuna violenza sul corpo
L’autopsia ha confermato che non sono presenti segni di violenza o di pressioni esterne sul corpo. Sull’auto e sul cavo usato per impiccarsi, così come sul cellulare lasciato ai piedi dell’albero, c’è solo il suo Dna. Dagli esami del medico legale è emerso che non aveva ingerito nient’altro dopo aver lasciato il locale di Porta Venezia a Milano, dove era avvenuto il furto. Le indagini sul tracciato del cellulare hanno svelato che poi Giacomo Sartori è tornato a casa per alcuni minuti, prima di riprendere l’auto dopo la mezzanotte e recarsi nel luogo dove il suo corpo è stato rinvenuto. Aveva tentato di collegarsi da remoto al sistema di gestione del pc aziendale: probabilmente, secondo gli investigatori, un tentativo di cancellare gli hard disk.
Non c’era nulla di rilevante sul pc secondo il suo datore di lavoro; così come non è stato trovato nulla sul suo cellulare. Forse il furto subito, il secondo in poco tempo, gli aveva provocato una sorta di ‘esaurimento emotivo’. Ma è solo un’ipotesi. Perché abbia deciso di farla finita nella notte tra il 17 e il 18 settembre è un aspetto gli inquirenti non sono riusciti a chiarire.
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