La teoria dell’evoluzione e della selezione della specie di Darwin ha uno strano destino. È scientificamente vera, comprovata e accertata da una miriade di prove empiriche e di evidenze scientifiche che ne attestano l’assoluta veridicità, esattamente come se si trattasse di un teorema matematico. Eppure molti ne parlano come di un’ipotesi e non di una verità dimostrata. Il genere umano, dunque, fa parte di una lunga e complessa catena biologica evolutiva, durata milioni di anni. I primi ominidi comparvero in Africa all’incirca sette milioni di anni fa, dopo circa tre milioni di anni uno step evolutivo portò alla comparsa di un ominide un po’ più evoluto, gli Australopitechi. Due milioni e mezzo di anni fa abbiamo la comparsa del genere Homo, con l’homo habilis, con la testa un po’ più grande e una prima abilità a fabbricare strumenti con la pietra. L’homo erectus comparve circa mezzo milione di anni dopo, mentre bisognerà attendere ancora un milione e mezzo di anni per vedere l’alba dell’Homo di Neanderthal e ancora centomila anni per l’Homo sapiens. Come si vede l’evoluzione è stata molto lenta, per poi diventare molto più veloce e poi velocissima. Il motivo della velocità è da ascrivere all’uomo stesso e al suo motore fondamentale: l’evoluzione del cervello, l’uso dell’intelligenza.

Le teorie del linguaggio

L’homo sapiens, nel passaggio dall’uso della pietra a quella di altri materiali più complessi come i metalli, ha dovuto cominciare a fare due cose essenziali: contare e comunicare. Per entrambe le cose era necessario un codice comune, condiviso: trasformare gesti e segni in parole. La storia del linguaggio è più misteriosa e forse ancora più affascinante della storia dell’evoluzione, che è più chiara. Le evidenze archeologiche suggeriscono che il linguaggio potrebbe aver avuto origine all’incirca centomila anni fa, durante l’era Paleolitica. Gli studi sul cervello umano indicano che la capacità di parlare sia direttamente collegata ad alcune aree cerebrali, come l’area di Broca e l’area di Wernicke. Vi sono diverse teorie del linguaggio: la teoria della gestualità di Tomasello, quella della simbiosi proposta da Noam Chomsky, la teoria dell’intelligenza sociale di Dunbar, quella strutturalista di De Saussure. Quello che è certo è che la storia della lingua cammina di pari passo con la storia del genere umano e ci rende del tutto speciali nel cosmo. Nel tempo si sono sviluppati ceppi linguistici diversi, legati ad aree geografiche, usanze, modi di essere, tradizioni. Poi ci sono lingue parlate da molti popoli, come l’inglese e lo spagnolo – anche per ragioni storiche, di dominio e di espansione – e lingue parlate da un solo paese.

L’esordio di Giuli

La complessità dell’organizzazione sociale ha richiesto anche lingue più evolute, e ora anche lingue capaci di mutare velocemente e di essere riconosciute in tutto il mondo. Anche nei discorsi politici l’uso della lingua è importante: per comunicare concetti complessi, per parlare alle folle, per convincere e ottenere consenso, per discutere i consessi più formali e nelle sedi della decisione politica. L’altro giorno, per esempio, ha esordito in Parlamento il nuovo Ministro della Cultura, con un discorso molto complesso, un uso del linguaggio poco conforme a quello abituale delle sedi politiche, e da molti criticato per questo. Il Ministro stava parlando al Parlamento, e non in un incontro con cittadini o studenti. Ha citato Hegel e parlato del rischio di una rivoluzione ontologica, cioè dell’essere, che potrebbe precipitarci in un’epoca oscura nella quale la tecnologia finisce per fagocitare il genere umano e non il contrario. Personalmente ho molto apprezzato questo passaggio.

Le critiche

È un rischio reale che l’umanità corre e che oggettivamente si riflette nella coscienza sociale e culturale di ciascuno di noi e dell’umanità nel suo complesso. Certo, da un Ministro abbiamo bisogno anche di sentire parole chiare su come fare per dare senso alla storia così straordinaria di un paese come l’Italia e trasmettere questo alle nuove generazioni, o su come migliorare le differenze culturali geografiche ancora esistenti. Però tutte queste critiche della politica e della stampa per un discorso che aveva un livello di ricerca intellettuale apprezzabile, ci dicono che prevale ancora il conformismo del linguaggio e dei concetti, e che vogliamo politici che recitano slogan banali. Personalmente ad una recita di retorica trita di Elly Schlein o urlata con voce roca di Giorgia Meloni, preferisco la ricerca dubbiosa di Giuli.