L’antipolitica di cui dobbiamo liberarci per sempre
Guerra al terzo mandato, capipartito sempre più presidenti della Corea del Nord mentre su De Luca e Zaia spettri di “derive autoritarie”
Riflessi condizionati che ci portiamo dietro da trent’anni. Da quando il Parlamento venne assediato e infamato, anche da sinistra, come fosse davvero l’aula sorda e grigia della propaganda mussoliniana. Riflessi condizionati e relative parole. Un candidato non eletto è per definizione “un trombato”. Un governatore che vuole ricandidarsi è un mandarino cinese. Ogni ruolo pubblico è una “poltrona”, e gli enti nel loro insieme “sottogoverno”.
Senza anticorpi l’antipolitica vince sempre
Del resto, l’Italia è il paese che ha arrestato un presidente di regione per aver ricevuto finanziamenti regolari, e lo ha tenuto dentro per evitare che avesse contatti con chi glieli aveva erogati. Il paese dove per decidere che un ministro guadagni più di 5mila euro si è dovuta muovere una gelida manina, che poi si è ritratta rossa per le bacchettate. È il paese del traffico di influenze e del concorso esterno. Che vogliamo farci? Senza anticorpi l’antipolitica avrà sempre vita semplice. Prende a pretesto un fatto qualsiasi, dall’aumento del gas alle file al pronto soccorso, per negare ogni legittimità ai processi della democrazia. Che per loro natura sono lenti, faticosi, spesso costosi. La madre dei poliziotti morali è sempre incinta. In questi giorni, a occupare le cronache sono il terzo mandato dei governatori e le nomine dei non eletti a cariche pubbliche.
Capipartito presidenti della Corea del Nord
La questione del terzo mandato è davvero lunare. I leader di partito sono i primi a non porsi il problema né dei tempi di permanenza al potere né della sua estensione. Con l’assenza di meccanismi democratici interni e il trucco delle liste bloccate, i capipartito si trasformano in presidenti della Corea del Nord: eterni e insindacabili. Qualcuno può obiettare: le cariche di partito non sono istituzionali. Ammesso e non concesso che la “costituzione di fatto” non stabilisca il contrario, cosa dire di cariche non elettive come quelle di ministri e presidenti del consiglio? E i parlamentari? Anche questi non hanno limiti temporali. Per i governatori regionali, giudicati giorno per giorno dagli elettori, si scatena una bufera che spacca anche la maggioranza di governo.
Gli argomenti del fronte del no sono sostanzialmente due, il “sistema di potere” e il rischio di minare il principio dell’alternanza. Sul primo punto, con sprezzo del ridicolo davvero ammirevole, si arrivano ad evocare gli spettri di “derive autoritarie”, che fanno immaginare Luca Zaia o Vincenzo De Luca in orbace che dichiarano lo stato di guerra in Veneto e Campania. Se poi invece parliamo di governo che si rafforza usando il consenso, e quindi anche la gestione degli enti pubblici, in cosa si differenzia questo concetto dalla politica? E cosa c’è di pericoloso per la democrazia in un esecutivo che cerca di evitare, una volta giunto al voto, che si realizzi l’alternanza? Dovremmo aspirare a governatori ansiosi di perdere? È sempre lì nodo: aver ormai confuso l’accertamento di un reato – corruzione, concussione, peculato – con la sua mera ipotesi. Presunzione di colpevolezza e onere della prova a carico della difesa.
Il Tribunale della Demagogia è infaticabile
Alla diatriba nazionale sul terzo mandato si lega la sua versione pugliese sulle nomine dei non eletti, per sintesi populista “trombati”. Il ragionamento fila. Se il presidente di regione è per definizione un maestro di magheggi, se il suo mandato popolare è visto come un regno di diritto divino, ogni sua designazione al vertice di un ente sarà un prezzo da pagare a qualcuno. Del resto, il voto di scambio è un’altra delle perle che hanno dilatato il diritto penale in modo tale da rendere la politica un campo minato. Come ti muovi, ti fulmino. Così, Antonella Laricchia, capogruppo dei Cinque Stelle alla Regione Puglia, con il non sorprendente appoggio della Lega e di membri sparsi della sinistra, è riuscita a far passare una norma che fissa questo singolare limite: i presidenti di regione non possono nominare candidati non eletti a ruoli pubblici. Tale nomina è automaticamente degradata a premio indebito di fedeltà.
Ma un non eletto non può per caso essere una persona competente? Ma la politica non dovrebbe esser fatta anche di rapporti fiduciari? Di “squadre” di uomini e donne che affrontano un’avventura elettorale e la proseguono anche oltre le urne? No. Sono solo privilegi della casta. Il Tribunale della Demagogia è infaticabile. Emette di continuo sentenze e ordinanze. E chi si appella al secondo grado di giudizio è un colpevole che l’ha fatta franca, come ebbe a dire il famoso campione del diritto giacobino Piercamillo Davigo. Sospetti. Accuse. Divieti. Il marchio di fabbrica resta quello.
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