Adesso non ci sono più pretesti, adesso non ci sono più speranze. Trump si è riferito al presidente ucraino Zelensky descrivendo il suo come un caso di odio patologico nei confronti di Putin, pienamente ricambiato dal suo nemico russo.

È un fatto, dice Trump, non ci posso fare più niente, l’America la speso centinaia di miliardi di dollari per poi non fare un passo avanti. Putin, dall’altra parte, ha richiamato tutti i soldati che hanno già prestato servizio militare per un breve aggiornamento prima di andare in linea. La linea può riguardare gli ucraini ma anche chiunque altro si intromettesse dalla parte occidentale. Con i droni si possono fare giochi di prestigio saltando le frontiere facendo arrivare carcasse non armate ma ancora capaci di impatto e utili a confondere inquinare i rapporti. Eppure sui social si è vista un’intensificazione della campagna contro gli ucraini tutti, intesi come razza, trattati da luridi fannulloni, noti traditori, gente che non troverà alcuna pietà.

Per quanto riguarda la nuova guerra dei droni, questi oggetti sono fantasmi senza bandiera e i loro relitti possono essere recuperati e ricaricati e rilanciati nelle posizioni più inattese. Putin di nuovo è andato al microfono e ha ripetuto: “Sento alcuni occidentali fare discorsi che dimostrerebbero solo che non hanno capito niente. Parlano di intervenire in Ucraina dopo la pace e comunque di volerla agganciare nel sistema di garanzie che simuli l’articolo 5 della Nato”. “Credevo che avessero capito, -dice Putin – e hanno capito, ma seguitano a far finta di non capire. Non ci sarà alcuna pace finché noi russi non avremo preso ciò che ci siamo proposti di prendere. Fino a quel momento gli ucraini possono, se credono, anticipare la pace anticipando le nostre richieste”. Ai toni guerreggianti del presidente russo, la Nato ha risposto presente. Anche l’Italia ha comunicato che parteciperà all’operazione “Sentinella dell’Est” con altri due caccia Eurofighter. Questo nonostante, nel pomeriggio di ieri, il ministro della Difesa Guido Crosetto avesse ribadito che l’Italia non sarebbe pronta ad affrontare un attacco russo.

Grane quotidiane sui passaggi di droni anche sul fronte rumeno. Tanto che ieri il ministro degli Esteri del Paese Oana Toiou comunica di aver convocato l’ambasciatore russo a Bucarest “per comunicargli il tono della protesta” della Romania. Da Washington il presidente Trump ha inviato una lunga lettera a Zelensky, un testo non freddo in cui esprimeva rammarico e comuni ricordi, per concludere che “mi dispiace, ma l’amore è finito e non ci sono più margherite da sfogliare”. Domani, però, chissà. Sul piano delle armi gli americani seguitano a mandare tutti i residui di magazzino già destinati all’Ucraina, sia in armi che in assistenza di intelligence, ma si tratta di materiale di fine corsa già in deficit di pezzi di ricambio ma ancora usabile. Nel suo lungo messaggio Trump ha raccomandato a Zelensky di sperare di avere quello che gli alleati europei “di buona volontà” ti promettono, e di cercare di usarlo bene, senza sprechi e sempre ricordando che non è detta l’ultima parola, dal momento che in America c’è tanta gente che fa il tifo per l’Ucraina. Noi non possiamo né vogliamo fare la guerra alla Russia, ripete Trump: stiamo costruendo un mondo che si regga sulle sue gambe e metta allo stesso passo Russia, Cina, India agli altri paesi che aspirano ad essere un polo separato nemico dell’area del dollaro.

I generali americani, che finora si sono occupati di mantenere attiva la linea dei rifornimenti all’Ucraina, ripetono agli ucraini con la morte nel cuore che la loro guerra è finita male. Ma non è ancora detto. Trump sa che gli umori del suo popolo sono cangianti e che molti repubblicani tradizionali hanno accettato di far famiglia col popolo dei MAGA, di cui non tollera però il populismo neroniano del loro capo. L’Occidente europeo scommette ancora nella capacità di resistenza degli ucraini per sfibrare l’esercito russo, che avanza di poche decine di metri al giorno. Ma Putin dà segnali di voler fare sul serio, e non come tre anni fa, con truppe vere e non raccogliticce e ogni sera martella: “Nessun progresso è stato fatto per il vertice laterale tra la Russia, gli Stati Uniti e l’Ucraina”. Dunque, la guerra continua e il portavoce Dimitri Peskov hanno ripetuto all’agenzia di stampa Ria Novosti di “non vedere alcun progresso in quella direzione”: Anche se, come vuole la liturgia diplomatica, la Russia resta “aperta al dialogo” finché Kyiv non darà segni concreti di voler arrivare a una soluzione. Cioè di resa.
Ora è più chiaro il voltafaccia finale di Trump: la parata militare cinese gli ha aperto gli occhi. E tanto gli è bastato per rilanciare l’antico slogan: “Tutte le risorse sul Pacifico”.

Nel 1941, quando il Giappone non aveva petrolio per battere gli americani, tentò di vincere con il blitz di dicembre. Oggi il petrolio russo raggiuge i porti cinesi ottimo e abbondante grazie al grande riciclaggio indiano che permette di alimentare sia le ambizioni cinesi che quelle russe. L’Ucraina è momentaneamente fuori dal gioco americano, ma ha dalla sua l’Europa combattiva dei volenterosi, i quali però, nel migliore dei casi, avranno bisogno di cinque anni prima di poter affrontare la Russia sul campo.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.