La legge non scritta degli invisibili non sbaglia mai. Finché non uccidi non esisti. Puoi crescere in un campo rom dove la fogna è il tuo parco giochi, puoi marcire in una cella lurida con altre dodici persone, puoi essere picchiata ogni giorno da tuo marito o umiliato nel tuo ospizio. Nessuno ti vede. Poi, un giorno, prendi un coltello o un’auto e ammazzi qualcuno, e all’improvviso diventi ‘’il caso’’, carburante per il derby osceno fra sicurezza e diritti, fra giro di vite poliziesco e assistenza umanitaria.  Il fischio d’inizio è generalmente affidato a Matteo Salvini, coadiuvato da un solerte e militaresco Roberto Vannacci: sono gli specialisti nell’emergenza del giorno dopo. A loro, regolarmente risponde l’indignata sinistra che “respinge ogni speculazione’’. Sentimento molto nobile. Se non fosse che la politica dovrebbe essere l’arte di chi interviene e previene, non quella di chi si agita solo a cose fatte.

Milano, agosto 2025, bambini e slogan

Quattro bambini rubano un’auto e investono una donna. Fino a ieri erano scarti umani ben mimetizzati, statistiche sepolte in qualche faldone comunale. Ora sono belve e mostri. Ma se erano bambini prima, bambini sono anche adesso. E la madre che vede piangere il suo undicenne omicida è una persona distrutta esattamente come i figli della signora che ha perso la vita. Questo delitto ravviva l’estate politica e porta legna al fuoco della demagogia nostrana, oscillante fra radere al suolo tutti i campi rom e invece vezzeggiarli come fenomeno socio-etnico-culturale. Facili slogan che esentano dallo sporcarsi le mani caso per caso, per coniugare legalità e integrazione.

In carcere un detenuto fa audience solo se evade

Il detenuto Gianni Alemanno, con un rigore civile degno di don Ciotti, parla di uomini di novant’anni e di malati terminali dimenticati, di celle fatiscenti al 150 per cento della capienza, di un suicidio ogni cinque giorni, di agenti sfiniti e risse quotidiane, di garanti dei detenuti che non si sa bene che fine abbiano fatto. E della politica, un tempo casa sua, dice che è capace solo di andarsene in vacanza con l’aria condizionata e tutti i comfort. Scrive queste cose in dignitosi diari pubblici che dovrebbero scuotere tutti. Eppure, finché un detenuto muore impiccato in silenzio, non fa audience. Serve un’evasione, un’aggressione, un rogo. Solo allora partirà il rito dello scontro ideologico per eccitare un giorno e poi sedare le coscienze per i successivi.

L’ipocrisia collettiva ama gli invisibili

Così come non può farne a meno la cattiva politica. Serve a sentirsi perennemente accomodati nella poltrona di un talk show, da cui elargire frasi fatte ai propri sostenitori trasformati in folle di tifosi. È il frutto della ipersemplificazione che ha corroso la politica italiana sin dagli albori della seconda Repubblica, ma con una particolare recrudescenza negli ultimi 25 anni. Stagioni infauste in cui ci siamo baloccati con rottamazioni e ruspe, superbonus e Italia agli italiani, parlamento da aprire come una scatoletta di tonno, abolizioni della povertà annunciate dal balcone e proclami di trionfo dell’onestà a scapito della corruzione. E l’ipocrisia collettiva ha le sue regole. Le faville degli invisibili non fanno luce né rumore.

Il bipopulismo vuole solo l’incendio

Quindi, silenzio di tomba sui neonati intontiti che servono a impietosire i passanti, sui ragazzini sbandati per strada o su chi soffre e crepa in cella. Al nostro bipopulismo perfetto serve l’incendio. È solo quello che permette di impugnare il megafono. Magari per chiedere conto dell’ordine pubblico al sindaco di Milano, mentre semmai sarebbe da imputare al tuo collega ministro dell’Interno. È ormai evidente che questi non sono più incidenti di percorso: sono il percorso. Una politica sbilenca e gridata sembra aver rinunciato al principio elementare della responsabilità e della gestione amministrativa quotidiana. Quella più difficile, più umile, quella che non fa spettacolo, ma l’unica che incontra davvero i bisogni e le sofferenze delle persone. La propaganda securitaria, o all’opposto iper-libertaria, si tengono per mano, in un sodalizio di esibizionismo che non merita neppure la memoria dei caduti, perché sfocia nella complicità. Non vediamo gli invisibili perché ci piace che restino tali. Così, il giorno che diventano mostri, possiamo spiattellare in un post su X la soluzione magica che ci fa sentire migliori.