Prove di guerra
Il discorso di von der Leyen è un omaggio a Nanni Moretti. Sufficienza solo dal Ppe, pioggia di no, ‘buu’ e fischi
La presidente Ue ha promesso un nuovo programma pro Kyiv, il Qualitative Military Edge e la creazione di un’Alleanza dei droni da 6 mld da aggiungere al Safe e Readiness 2030 Ma ha fatto arroccare sui baluardi le opposizioni (che hanno alzato l’indice su Gaza)
Mi si nota di più per quello che dico, o per quello che non dico? È in chiave morettiana che va letto il discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato ieri alla plenaria del parlamento europeo a Strasburgo, da Ursula von der Leyen. Il primo del secondo mandato della presidente Ue. Dopo un anno cadenzato da guerre, combattute e commerciali, mezzi scandali (Pfizer) e commissari evanescenti, le attese non erano delle migliori.
Von der Leyen ha presentato un bilancio di questi dodici mesi di governo, accompagnato da una “to do list”, che solo il Ppe ha approvato. Sufficienza “con calcio” quella dei conservatori e Renew Europe. Pioggia di no – con tanto di buu e fischi a scena aperta – da parte socialisti, verdi e, manco a dirlo, sinistra e destra radicali.
Il nemico è alle porte
«Questa è una lotta», ha ammesso von der Leyen. «L’Europa ha lo stomaco per combatterla?». Bella domanda. Ma a rispondere dovrebbe essere Bruxelles. Siamo tutti d’accordo nel sostenere Ucraina, Polonia e Paesi baltici. Il nemico è alle porte. Ma se i droni russi colpiscono il territorio polacco e l’intelligence di Mosca neutralizza il Gps dell’areo su cui viaggia la stessa presidente Ue, è evidente che siamo molto più scoperti di quanto si creda. Von der Leyen ha promesso un nuovo programma pro Kiyv, il “Qualitative Military Edge”, e la creazione di un’“Alleanza dei droni”, del valore di 6 miliardi di euro. Piani che si aggiungono al Safe e Readiness 2030. «L’Europa dovrà essere in grado di difendere ogni centimetro del suo territorio». Finora non ci è riuscita. Basteranno cinque anni per superare il problema del veto in Consiglio Ue dove tutte le proposte di difesa comune, ma non solo, continuano ad arenarsi? Von der Leyen non l’ha detto.
Il pacchetto non funziona
Altrettanto non ha ammesso che il citato piano Draghi, a un anno esatto dalla pubblicazione, è ancora lì. Parcheggiato tra le scartoffie di Palazzo Belayrmont. Il previsto taglio di 8 miliardi alla burocrazia comunitaria A) non risponde al fatto che l’“Omnibus Ue”, il pacchetto di proposte di semplificazione normativa, non funziona; B) non spiega come la prenderebbe quella pletora di mandarini a Bruxelles, una volta lasciati per strada perché ci si è resi conto sono loro la zavorra alla competitività europea.
Il dialogo resta aperto
Con un equilibrismo degno di un qualsiasi trasformista della politica italiana, la presidente UE ha detto che il dialogo con le filiere chiave dell’industria Ue resta aperto. Automotive, chimica, acciaio, pharma, difesa e agrifood possono stare serene. È davvero così? Difficile dirlo dopo la batosta di dazi di Trump e senza il salvagente di relazioni commerciali alternative. Nessuno crede che Mercosur e Messico possano sostituire i 500 miliardi di euro della bilancia commerciale Ue-Usa. E se von der Leyen ne è convinta, vuol dire che non conosce i volumi dei mercati globali, oppure è in malafede. All’Europa serve una politica industriale comunitaria. È questo che von der Leyen non ha detto. Al contrario, ha cercato di salvare il Green deal, ma anche il Green industrial deal. Convivenza incompatibile stando agli imprenditori, che sono sempre più scettici verso Bruxelles. Come da loro torto? Si guardi i mercati unici dei capitali, energia e telecomunicazioni. «Presenteremo una Single Market Roadmap con scadenza al 2028». Altri tre anni di limbo per unificare tre filiere essenziali per la nostra competitività?
von der Leyen, i puntini da unire
Possibile che von der Leyen non unisca i puntini tra il rilancio dell’industria siderurgica, la creazione di gigafactory in Europa e l’apertura di una partnership con paesi fornitori di materie prime critiche? Possibile che non ammetta che le eco-tariffe in ingresso al mercato Ue e quelle interne sono di fatto dazi che bloccano qualsiasi ambizione di sovranità digitale e industriale?
La maggioranza
Quindi? Quindi è andata davvero male. Von der Leyen ha avuto la capacità di far arroccare le opposizioni sui propri baluardi. La difesa dell’agrifood e l’immigrazione, da parte dei Patriots. L’ideologia green da parte di verdi e progressisti. Che hanno alzato anche l’indice inquisitore su Gaza, al punto da raccogliere 72 firme di censura perché non è stata pronunciata la parola “genocidio”. Ma di questo ci torniamo tra un attimo. Solo il Ppe si è detto soddisfatto. E non si può certo negare a Manfred Weber, il loro leader, il capolavoro. La maggioranza Ursula era nata con una veste di centro-sinistra, oggi resiste grazie ai liberali – a condizione che la commissione acceleri in fatto di tutela dei diritti e delle libertà contro lo straripare delle major tecnologiche extra Ue – e dei conservatori, che hanno in Fratelli d’Italia in pratica l’unico partito di governo davvero stabile in tutta Europa.
Si diceva di Gaza. Von der Leyen ha proposto «sanzioni contro i ministri e coloni in Israele, la sospensione parziale degli accordi commerciali e del programma di finanziamento Ue Horizon». Ma ha anche promesso la creazione di un gruppo di «donatori per la Palestina e di un fondo per la ricostruzione di Gaza». Forse questa è la stecca peggiore per un’Europa sempre più fragile e verso un alleato che difende quei valori per cui l’Ue è nata. Peccato.
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