Il malessere ribolle
Il fantastico mondo di casa Maga che fatica ad entrare nella testa di Trump: l’impresa quasi impossibile dopo la gestione Epstein
Entrare nella testa di Trump sembra diventata un’impresa impossibile anche per gli spiriti più arditi. Soprattutto quando si trova a distanza ravvicinata con il deep state giudiziario che non gliene manda buona neppure una. Così in casa MAGA, nel cuore profondo di quel movimento che ha riportato il presidente alla guida del Paese, il malessere ribolle.
Un malumore non nuovo verso un certo establishment, accusato di complottare contro il capo, che spiega, perlomeno in parte, la liturgia muscolare che vuole restituire l’immagine di un commander in chief senza timore né tremore. Dunque, tra un insulto al direttore della FED, un nuovo iperbolico dazio per tenersi buona la finanza a stelle e strisce ecco che, a riscaldare ulteriormente animi riemerge, mai dimenticato, il caso Epstein con tutti i suoi strascichi di polemiche. Nel mirino dell’ira presidenziale e dei fedelissimi questa volta è niente meno che il potere giudiziario: Trump ha, infatti, chiesto e ottenuto la testa della procuratrice distrettuale Maurene Comey, membro del team di magistrati che all’epoca aveva portato il faccendiere alla sbarra. A riaccendere la miccia è servito, su un piatto d’argento, lo scontro frontale con il Wall Street Journal dell’odiato Murdoch, da sempre a capo dell’opposizione interna al GOP, che ha sbattuto in prima pagina i dialoghi “osceni” tra l’allora immobiliarista e Epstein. Nuove ombre si allungano ancora sull’inquilino della Casa Bianca nonostante gli svariati tentativi di insabbiare quella che sembra un’inchiesta che non muore mai.
A Trump non è bastato che il Ministero della Giustizia, a inizio luglio, avesse derubricato come “teoria cospirazionista” ogni sorta di coinvolgimento di Epstein in casi pedofilia o abuso sessuale. Un maldestro tentativo di mettere una pietra tombale anche sulle liste di clienti che godevano di “favori speciali” che proprio parte del movimento MAGA non ha digerito, con molti dei suoi sostenitori che hanno continuato a chiedere che le liste venissero rese pubbliche. Il bigottismo americano è cosa nota. Ma è chiaro che il malessere stavolta è profondo e arriva da lontano. Così già lo scorso inverno alcuni influencer di area MAGA, ora messi addirittura ai vertici dell’FBI, si sono organizzati per andare all’attaccato di un’altra procuratrice, Pam Bondi, che aveva dichiarato che quei file erano veri e in bella vista sulla sua scrivania. A loro si sono unite le voci di altri difensori d’ufficio del presidente che, senza esclusione di colpi, gli hanno fatto da scudo contro gli attacchi cercando di riversare colpi e sospetti sull’Amministrazione Biden, portando allo scoperto diversi nomi di democratici indagati legati all’ex presidente. Ora a essere colpita è direttamente Comey, perno focale dell’inchiesta.
Le ragioni dell’escalation sono varie: dalle carte della procuratrice si evincerebbe che fin dagli anni ’90 Trump e Epstein avrebbero avuto una frequentazione stretta costante. Inoltre, Comey è una vittima designata, perché figlia di quel James Comey, ex direttore dell’FBI, nominato da Obama, che all’epoca della prima elezione di Trump si rifiutò di dichiarare che sarebbe stato più fedele a lui che alla legge. Ma non solo: il suo nome rientra tra quelli indagati nel caso che l’amministrazione ha definito la “bufala russa”, ossia il presunto sostegno che Mosca avrebbe dato al tycoon per la sua rielezione. Se a questo si aggiungono le costanti pressioni che arrivano al presidente dalla parte più estrema del movimento MAGA il gioco è fatto.
Benché Trump non risparmi sforzi per accontentare e rassicurare la sua base, per la prima volta sembra che il tentativo non dia risultati. E lo certifica un recente sondaggio della CNN dove solo il quattro per cento degli intervistati, scelti ovviamente tra la base trumpiana, dichiara soddisfatto della gestione di questa vicenda. Un po’ poco per chi vorrebbe rifare di nuovo grande l’America. E dunque, alla prossima puntata.
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