Il Partito democratico italiano è tornato a fare quello che sa fare meglio, partorire correnti. Mentre Elly Schlein aveva promesso di “travolgerle” e smantellarle, la realtà è ben diversa. Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un vero e proprio revival di quella danza delle anime che ha sempre caratterizzato il Nazareno. Ma mentre tutti si affannano a tracciare nuove geometrie interne, nessuno sembra accorgersi dell’elefante nella stanza: la crescente insoddisfazione verso la Segretaria, che non sembra in grado di guidare un’alternativa credibile a Giorgia Meloni.

E soprattutto nessuno pare pensare alla corrente che davvero servirebbe al Pd per tornare competitivo: quella del Nord. Il paradosso è evidente. In un Paese dove l’asse produttivo è radicato a Nord, dove le grandi trasformazioni economiche e sociali nascono nelle metropoli lombarde, piemontesi, venete, il Pd continua a pensarsi con le categorie delle militanze sociali o al massimo delle cento sfumature di moderatismo.

La parola mai pronunciata

Bonaccini ha lamentato di non aver “mai sentito risuonare la parola impresa” nei dibattiti dem, centrando indirettamente il punto. Un “Pd del Nord” sarebbe semplicemente il riconoscimento che il futuro del Paese si gioca nella capacità di coniugare innovazione e giustizia sociale, competitività e sostenibilità. diritti e impresa. Sarebbe la corrente degli amministratori che governano tra le città più dinamiche d’Europa, degli imprenditori che investono in ricerca e sviluppo, dei sindacati che hanno saputo rinnovarsi. Invece, il Pd continua nella sua strategia “movimentista”, mentre la destra può permettersi di governare intercettando in modo pasticcione un elettorato che chiede risultati. I cattolici democratici e i riformisti non hanno un’idea comune su come reagire, e intanto il tempo passa.

La verità è che il Pd ha paura del Nord

La verità è che il Pd ha paura del Nord. Paura di confrontarsi con la complessità di un territorio che non si accontenta di slogan ideologici ma chiede risposte concrete. Una corrente del Nord costringerebbe finalmente il partito a misurarsi con la realtà di un Paese che una volta per tutte, prima di preoccuparsi di come redistribuirla, si impegna ogni giorno a produrre ricchezza. E forse potrebbe tornare a parlare il linguaggio del governo, anziché quello dell’opposizione permanente.