Pochi conoscono Napoli meglio di Marco Demarco, che ha diretto a lungo il “Corriere del Mezzogiorno”, da lui fondato nel 1997 insieme con Paolo Mieli. Ha pubblicato libri su Napoli, da Lauro a Bassolino, e sull’antimeridionalismo della sinistra meridionale. Lo sentiamo sconcertato, dopo che il Consiglio Comunale della sua città ha approvato all’unanimità un Ordine del giorno che sospende tutte le collaborazioni istituzionali, culturali, universitarie con Israele.

Il sindaco Gaetano Manfredi riprende qualche tratto di De Magistris, diventa ‘De Manfredis’: ha finito per accogliere qualcosa del tratto di De Magistris?
«Sì, è così. C’è una continuità di fondo che riguarda la confusione tra autogoverno e anarchia. De Magistris li confondeva del tutto: il risultato era una città anarchica che lui in qualche modo giustificava come autogoverno della società sulla città. In realtà era un comune assolutamente incapace di governare la complessità di una città come Napoli».

Questa propensione a tollerare – fino a legittimare – forme di anarchismo e di populismo è passata in eredità?
«Assolutamente sì, con una differenza. Manfredi lo teorizza, addirittura più di De Magistris: teorizza che questa città è così complessa che ogni presunzione totalizzante di governo istituzionale è destinata al fallimento e quindi il governo di questa città deve essere concesso in molta parte all’autogestione, al fai-da-te: giustificando così tutte le piccole illegittimità che devono trovare un loro equilibrio. Questo il sindaco lo ha teorizzato. Però nell’anarchismo di Manfredi c’è il bon ton istituzionale, c’è il rispetto formale, e anzi non solo formale ma sostanziale, dei rapporti istituzionali. Ricordo invece una famosa frase di De Magistris nei confronti dell’allora Presidente del consiglio Matteo Renzi invitato – diciamolo con una perifrasi – ad andare frequentemente in bagno. Una volgarità unica nei rapporti istituzionali».

Quali sono i risultati di questa concessione all’anarco-populismo?
«Un’occupazione di suolo pubblico fuori controllo, la scarsa capacità del Comune di riscuotere i tributi, un rispetto del codice stradale meno che teorico. E per stare sulla notizia dell’incredibile presa di posizione del Comune su Israele, un clima di antisemitismo fuori controllo, benché mascherato da antisionismo, che è francamente sorprendente, per una città storicamente accogliente, dal cuore mediterraneo come la nostra».

Napoli è sempre stata un melting pot di culture, tollerante e rispettosa…
«Dunque, fino all’altro ieri Napoli veniva descritta come la capitale della tolleranza, dell’inclusività… in realtà questo spirito della città, proprio con De Magistris, ha preso una piega ideologica tagliata verso qualcuno e chiusa per altri. Ha iniziato a vedere le cose a senso unico. E questo è esploso mercoledì sera in Consiglio Comunale. Ricordo un episodio che è andato su tutti i giornali, quello che è successo in un ristorante del centro storico, dove la proprietaria di una trattoria a un certo punto, accortasi che una coppia di clienti israeliana dibatteva con altri avventori, è intervenuta per allontanare gli israeliani dal ristorante».

Cos’è successo in seguito?
«Questo episodio ha scatenato una grande polemica e il primo intervento è arrivato da un’assessora comunale, Teresa Armato, che ha stigmatizzato il fatto e ha dato la sua solidarietà ai turisti israeliani. Ne è nata una tensione diffusa. E di lì a poco la proprietaria del ristorante è stata invitata in Consiglio comunale per un incontro dove poi le è stata espressa solidarietà. Ammirazione, addirittura, per il suo impegno civile».

Insomma, il Comune alla fine ha preso le sue parti?
«La motivazione era naturalmente più raffinata, ma il risultato è stato che un’assessora aveva dato solidarietà agli israeliani cacciati dal ristorante e poi il Comune, con un altro assessore e il Sindaco avevano preso le sue difese: un equilibrismo che esprime il carattere di questa città altalenante, in eterna altalena tra una cosa e il suo opposto».

Napoli, va detto, si inserisce nella scia di tante amministrazioni locali: la prima fu la Regione Puglia…
«Sì, per primi hanno preso l’iniziativa la Regione Puglia e poi il Comune di Bari. Hanno adottato un ordine del giorno come quello votato a Napoli e, compiaciuti, avevano motivato fortemente e ripetutamente quella presa di posizione. Manfredi, che pure ha partecipato al Consiglio Comunale di mercoledì, è stato più sobrio: non è intervenuto e non ha rilasciato dichiarazioni. Questo implica che in lui c’è una consapevolezza della problematicità della questione che altri non hanno, ma di fronte a questa problematicità si rende ancora più evidente il sacrificio che questo sindaco fa alla sua stessa sensibilità. L’aver accettato di approvare nel suo Consiglio Comunale, alla sua presenza, un ordine del giorno che non solo ripete gli argomenti noti contro Netanyahu, il governo di Israele, Gaza e via dicendo, ma suggerisce, anzi chiede l’adozione di restrizioni legate agli accordi istituzionali per lo studio, la cultura, la ricerca, oltre gli scambi commerciali, è tantopiù grave se si pensa che Manfredi è anche ex rettore dell’università».

È un uomo di cultura, un simbolo dell’università…
«Esattamente, ed è lì che rimango basito. Quando scoppiò il caso Paolo Nori, che all’inizio della guerra in Ucraina doveva tenere una lezione su Tolstoi, bloccata da un’università, ci fu una reazione di protesta quasi unanime: le università devono essere lasciate fuori dalle guerre. La cultura, la ricerca, la scienza, la medicina non possono e non devono mai essere associate a chi guida i governi. Questo un ex rettore non solo lo sa: lo deve difendere, ne avrebbe dovuto fare una bandiera».

Nel caso di contestazioni verso Israele, a quanto pare, invece va bene…
«C’è anche un altro aspetto da evidenziare, al quale penso da quando è partita la battaglia di Emiliano contro il governo israeliano. La retorica anti-autonomista della sinistra era fondata principalmente su questo argomento: “Non possono esistere venti politiche estere, non possiamo spappolare lo Stato nazionale”. E: “Sarebbe un’assurdità se ogni regione avesse la sua politica estera”, si disse. Però oggi è esattamente la sinistra a fomentarla, da Bari a Milano, dalla Toscana alla Puglia, per arrivare a Napoli. Dove anche la destra, vilmente, ha rinunciato a dare battaglia».

Per uscire dal caso-Napoli, lei che è stato vent’anni a L’Unità e quindici alla direzione del Corriere, l’aveva mai vista una ondata di antisemitismo così, in Italia?
«Mai. Non si era mai visto un fenomeno così diffuso e allarmante. E mai avrei creduto di vederlo, nel 2025».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.