Tutte le mattine passo per Viale Trastevere per partecipare alla funzione in sinagoga. Mercoledì, giunto a piazza Gioacchino Belli, mentre ero fermo al semaforo, intravedo sulla parete della pensilina della fermata del tram una sagoma che mi fa rabbrividire. Accostò la vespa e voglio vedere se realmente si tratta di una figura con la divisa nazista. Mi stava già montando la rabbia. Mi aspettavo già qualche frase antisemita che ormai rappresenta la quotidianità. Guardo bene la figura e la rabbia viene sostituita dallo sgomento: la fascia del braccio non ha la svastica, bensì la stella di David.

La rimozione

La mente mi riporta a quella mattina di oltre quarant’anni fa, a quella famosa manifestazione dei sindacati che, fatti passare incautamente davanti alla sinagoga, lasciarono una bara vuota davanti all’ingresso. Bara che sarebbe stata riempita qualche mese dopo da un bambino di due anni: Stefano Gai Tachè, assassinato da terroristi palestinesi che ferirono quaranta persone. Io sono uno dei quaranta. Tante altre persone della comunità ebraica si accorgono di questo scempio e la foto inizia a girare sui social. Il tempestivo intervento della comunità fa sì che l’Atac intervenga immediatamente per rimuovere quell’abominio ed emette anche un comunicato di condanna. Ma la cosa peggiore è che la foto inizia a circolare e i commenti non sono di condanna per l’anonimo mascalzone autore, ma un campionario di insulti contro gli ebrei da fare impallidire chi scriveva durante il fascismo su “la difesa della razza”. La mente inizia un tourbillon di pensieri.

I pensieri

Penso all’insulto ai reduci dei campi di sterminio che hanno impiegato gli ultimi anni della loro vita a spiegare alle giovani generazioni l’orrore che avevano vissuto. Alla bestemmia di mettere sullo stesso piano il persecutore e il perseguitato. All’inutilità della giornata della memoria. Da quando Israele ha reagito al pogrom del 7 ottobre, gli insulti antisemiti, neanche più mascherati dall’antisionismo, sono aumentati in un crescendo rossiniano. Il tabù dell’antisemitismo è caduto in maniera verticale. A mio avviso noi ebrei stiamo vivendo il peggior periodo dalla fine della seconda guerra mondiale. E la situazione è molto più grave di quello che si possa pensare, perché gli insulti, le invettive non arrivano dalle curve di uno stadio di calcio dove regna disagio e ignoranza, ma da professori universitari, intellettuali, politici, giornalisti, pseudo intellettuali.

Se non si interviene in maniera forte, autorevole, decisa, vedo un futuro nero per la democrazia e significa che questi ottant’anni che sono trascorsi dalla fine delle atrocità della seconda guerra mondiale, sono stati vani e non hanno distrutto il germe dell’intolleranza e del razzismo. Ma sia chiaro un concetto: l’ultimo ebreo che ha accettato passivamente di essere trucidato, è morto ad Auschwitz. Tutti coloro i quali ritengono che il destino degli ebrei è di essere l’agnello sacrificale, se ne facciano una ragione!
Am Israel chai!

Sandro Di Castro

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