L'analisi
Iran, regime in declino e rebus atomica: Khamenei è a terra, i quattro scenari possibili

Il regime teocratico iraniano, guidato per oltre trent’anni da Ali Hoseyni Khamenei, si trova ora di fronte alla sua crisi più profonda. La raffica di raid compiuti da Israele e l’ultimo ritocco degli Stati Uniti hanno inferto colpi letali al cuore dell’apparato militare e nucleare della Repubblica islamica. I bombardamenti hanno eliminato intere linee di comando dei Guardiani della Rivoluzione, assassinato i principali scienziati atomici e distrutto centrali in cui si arricchiva uranio per portarlo a livello bellico. In 12 giorni sono andati in fumo miliardi di dollari e quarant’anni di sviluppo tecnologico.
L’Iran ruota attorno a Khamenei dal lontano 1981, quando – in piena guerra con l’Iraq – fu eletto presidente con una maggioranza bulgara. Anzi, iraniana: 97%. Nel 1989, alla morte di Khomeyni, riuscì a togliere di mezzo il delfino designato Ali Montazeri – reo di essersi opposto ai massacri degli oppositori – per diventare Guida suprema. Oggi ha 86 anni ed è in precarie condizioni di salute; ha parlato solo giorni dopo il cessate il fuoco, con un video registrato da un bunker segreto, proclamando una lunare “vittoria divina” che ha suscitato la risposta sprezzante di Trump: “Hai preso una batosta”.
Un regime in declino
Un tempo astuto manipolatore di equilibri politici, oggi Khamenei regna su un apparato rigido, isolato e indebolito. Il suo potere militare esterno, l’asse di resistenza che ha pazientemente creato e finanziato per decenni – Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli Houthi nello Yemen, la Siria di Assad e le milizie più o meno fanaticamente religiose che imperversano in tutta l’area – è stato sistematicamente smantellato e ridotto all’impotenza. Internamente, il consenso popolare è ai minimi storici, eroso da repressioni, inflazione e povertà sempre più estrema a causa dell’isolamento internazionale. La sopravvivenza del regime richiede oggi una repressione ancora più dura e rischiosa.
Come ha osservato Ali Vaez dell’International Crisis Group, “il regime vive per combattere un altro giorno, ma è chiaramente indebolito. La proiezione di forza è evaporata e la deterrenza è fallita”. L’Intelligence di Teheran ha fallito su tutta la linea. I vertici militari sono stati annientati. E le cause profonde della crisi – economiche e sociali – restano intatte.
L’ultima carta: l’atomica
Sotto pressione crescente, l’Iran potrebbe ora decidere di rompere la propria ambiguità nucleare. Il Parlamento aveva già annunciato la fine della cooperazione con l’AIEA, sancita definitivamente ieri dalla firma del presidente Pezeshkian, e molti analisti temono che la fatwa con cui Khamenei aveva escluso (!) lo sviluppo dell’arma atomica possa essere presto revocata.
Un ritorno all’arricchimento militare – o la semplice minaccia esplicita di farlo, finora l’Iran ha sempre spudoratamente sostenuto che il proprio sviluppo nucleare ha fini esclusivamente civili – potrebbe essere visto a Teheran come l’ultima e l’unica garanzia di sopravvivenza. Trump, indeciso e imprevedibile come al solito, ha dichiarato che “non esiterebbe a colpire di nuovo”, ma ha anche detto che “l’ultima cosa che l’Iran vuole oggi è una bomba”.
Un’altra ipotesi, più improbabile, è che Khamenei rinfocoli e sfrutti quella scintilla di unità popolare emersa dopo i raid per lanciare riforme o una nuova apertura diplomatica. Ma la sfiducia verso l’Occidente – rafforzata dalla revoca unilaterale del Trattato nucleare da parte di Trump nel suo primo mandato – è troppo profonda. E le offerte americane per rilanciare un programma nucleare civile, riportate da CNN ma smentite dalla Casa Bianca, sono viste con evidente sospetto.
Chi dopo Khamenei?
Ma il nodo più critico non è la bomba. È il futuro stesso del potere iraniano. Khamenei non ha mai indicato un successore. Le voci su suo figlio Mojtaba sono invise al clero e ai Pasdaran. Il Consiglio degli Esperti è diviso, i moderati marginalizzati, i militari indeboliti. Gli scenari possibili sono molteplici:
- Successione dinastica: Mojtaba al potere, sostenuto dai fedelissimi. Ma sarebbe visto come illegittimo e potrebbe scatenare proteste di massa.
- Triumvirato militare-clericale: una guida collettiva tenta di salvare l’ordine teocratico, inasprendone la militarizzazione.
- Riformismo controllato: un successore più pragmatico, come Raisi o altri esponenti conservatori, tenta una lenta apertura.
- Collasso del sistema: nessuna guida riconosciuta emerge, l’apparato implode e si apre una fase di pericoloso caos che rischia di portare a una terra governata da bande, come la Libia del dopo Gheddafi. Ingestibile.
Per ora, l’Iran sopravvive. Ma è un sopravvivere senza guida, senza strumenti e senza direzione. La Repubblica islamica ha conosciuto molte crisi. Questa potrebbe essere l’ultima.
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