Colpire i simboli occidentali
L’Iran vuole distruggere la civiltà dell’Occidente, ma i pro-Pal sputano veleno su chi osa resistere

Ogni giorno centinaia di commenti sui social supportano l’illegittimità di Israele. Da ragazza di 18 anni, leggere quella continua valanga di odio fa venire un tonfo al cuore. Dal 7 ottobre 2023 si leggono attacchi crudeli, antisemiti. Ma fa ancora più rabbia il fatto che nessuno tra i pro-Pal abbia capito la gravità dell’attacco iraniano. I missili balistici mandati da Khamenei hanno colpito il Weizmann Institute of Science, uno dei principali istituti di ricerca al mondo e prestigiosa università israeliana. Sede che è stata protagonista di numerose scoperte scientifiche, quali l’invenzione dell’amniocentesi, dei farmaci di successo per la sclerosi multipla, della tecnologia informatica avanzata. Per non parlare delle fruttuose ricerche riguardanti il cancro e le malattie neurodegenerative – come l’Alzheimer e il Parkinson – e malattie mentali e condizioni come l’autismo, la depressione e la schizofrenia.
Chi sostiene l’attacco iraniano non capisce che i bombardamenti danneggiano non solo Israele, ma l’umanità intera: i danni alla struttura hanno lesionato costosi macchinari scientifici e hanno mandato in fumo anni di ricerche. È un’offensiva rivolta a tutto l’Occidente e alla sua civilizzazione.
Sorgono spontanee delle domande ai pro-Pal: perché quando Israele viene attaccato, le sue vittime valgono meno di zero e c’è sempre una giustificazione? Per quale motivo in questo caso non si sostiene la teoria secondo cui una vita vale come un’altra? Perché lo Stato ebraico deve essere dalla parte del torto a prescindere? Peccato che non ci si possa rivolgere direttamente a coloro che – con molto orgoglio – si definiscono antisionisti: non sarebbero in grado di dialogare pacificamente o guardare con rispetto l’interlocutore senza urlargli contro. Il motivo? A differenza di quanto affermano, non sono sostenitori della pace e dei civili innocenti. Se fossero davvero a favore dei diritti di tutti e del progresso, si sarebbero indignati per l’attacco iraniano all’Istituto Weizmann o all’ospedale Soroka a Beer Sheva. Se volessero veramente la fine della guerra, manifesterebbero contro Hamas e non andrebbero in giro per le capitali del mondo con striscioni volti a sostenere l’Intifada o a gridare “From the river to the sea”.
Dietro tutto ciò si nasconde un grande odio nei confronti degli ebrei, presente nel secolo scorso, in quello precedente e in quello prima ancora. Per quanto ne dicano, il sogno è sempre lo stesso: la fine dello Stato di Israele. E, per sostenere la propria causa, aggrediscono verbalmente chi osa dissentire. Con loro non si può costruire un dialogo perché sarebbe come interfacciarsi con una radio: parla, parla e mai ascolta. Questo è il motivo per cui io, ragazza appena entrata nel mondo degli adulti, ho timore di dire apertamente ciò che penso. Seminando paura e odio, si vìola il diritto di espressione dei tanti giovani che rifiutano la narrazione anti-Israele ma che non vogliono essere esclusi dalla società. Una società che non li accetta per le loro idee fuori dal coro.
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