Si fa un gran parlare della app che, tracciando i nostri movimenti, dovrebbe salvarci da un’ulteriore diffusione del contagio da Coronavirus, e naturalmente sono già schierati da una parte i tutori della salvaguardia in primis della salute pubblica e dall’altra i difensori dei residui confini di libertà personale di cui ancora disponiamo. Su “Immuni” – questo il nome della app – si è aperto un dibattito giusto, che non riguarda solo la nostra sicurezza in tempi di pandemia, ma più in generale il nostro rapporto con la tecnologia: quanto essa ci offre ma a quale prezzo. E il prezzo naturalmente è la nostra individualità, cioè che ci rende unici. Sempre di più, infatti, la tecnologia ci porta verso la dimensione del gregge indiscriminato, e infatti siamo arrivati anche a parlare di immunità di gregge tecnologica. E dare risposte che abbiano poi effetti anche politici su un crinale così complesso non è certo facile.

Per questo bisogna provare a stare semplici, e attenersi rigorosamente al dato di realtà. E la realtà ci dice che qui in Italia, anno 2020, siamo ancora molto lontani dal gregge tecnologico. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, sono ben 16.185.000 gli italiani sopra i 6 anni che non usano Internet. La maggioranza assoluta di questi ha più di 60 anni. Su 100 over 65, infatti, quasi il 70% non naviga in rete e non ha alcuna dimestichezza digitale. In pratica la app Immuni, che una volta caricata sul nostro telefono cellulare dovrebbe difenderci tutti dal contagio, rischia di non poter essere utilizzata proprio da coloro che in termini di rischio sono più esposti alle conseguenze del Coronavirus: gli anziani.

Su 16 milioni di cittadini che non usano internet, quasi 6 milioni hanno più di 75 anni, 3.7 milioni ne hanno tra 65 e 74, 1.3 milioni ne hanno tra 60 e 64, la parte restante è suddivisa tra gli under 60.  Su questo dato ci sono due componenti che pesano più di altre: quella di genere e quella territoriale. Le donne che non usano la rete sono molte più degli uomini. Solo nella fascia degli over 65 si registrano 5.8 milioni di donne a fronte dei 3.6 milioni di uomini. E quasi 4 milioni di queste donne non ha alcun titolo di studio o al massimo la licenza di scuola elementare.

Per quanto riguarda la componente territoriale emergono delle differenze tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia. Se al Nord e al Centro la percentuale di persone che non usano Internet sia aggira tra il 25.3% e il 26.2%, al Sud si va dal 29.1% dell’Abruzzo al 36.1% della Puglia. Con un dato che in Campania, Molise, Basilicata e Calabria oscilla tra il 35 e il 36%. Ecco perché trovo surreale tutto questo dibattito sulla app. Non so quale sarà la decisione finale del governo su questa faccenda, quali le modalità e anche le condizionalità con cui la app verrà messa in uso, dato che ci sono già stati tanti cambiamenti di approccio. Inimmaginabile anche l’efficacia che potrà avere.

Però l’abc della democrazia e del suo esercizio impone un punto di partenza: la demografia. Se è vero che il virus colpisce maggiormente gli anziani e quindi sono loro ad aver bisogno di maggiori difese, se è vero che la popolazione italiana è fra le più anziane del mondo, se è vero che la penetrazione di internet e di minime competenze digitali fra i nostri anziani è bassissima, ma allora che contributo potrà offrire questa app al contenimento vero del contagio? Di certo fornirà al governo molti dati sensibili che riguardano ognuno di noi. Ma servirà davvero allo scopo che si prefigge?

Forse uno dei fattori più promettenti della pandemia è che si accelererà la semplificazione nell’uso di internet da parte delle generazioni più indifese, ma ci vorrà del tempo, e fino a quel momento, prima di farsi abbagliare da soluzioni tecnologiche che in altri paesi sembrano funzionare, bisognerebbe dare meglio un’occhiata a come siamo messi da queste parti..