Anche in Basilicata, come già in Calabria e ovunque si creino scandali mediatici su blitz e maxi-inchieste a sfondo politico, è crollato il teorema che lo scorso 6 ottobre era caduto come un fulmine a ciel sereno sulla giunta regionale di centro-destra, con 100 indagati e numerosi provvedimenti cautelari, arresti in carcere e ai domiciliari, obblighi di dimora.

La “mala politica lucana” riguardava principalmente il settore sanità. Le motivazioni, depositate due giorni fa, del provvedimento con cui il tribunale del riesame aveva annullato, già alla fine di ottobre, alcune delle misure cautelari disposte dal gip, fanno a pezzi l’ipotesi dell’accusa, basata soprattutto sulle denunce, di chiara marca politica, di due testimoni. Ma spiegano anche perché il collegio, allora presieduto da Aldo Gubitosi (nel frattempo trasferito a Salerno), aveva respinto la pervicace richiesta dei pm che proponevano addirittura di aggravare le misure cautelari di tre indagati che avevano presentato il ricorso. All’ufficio dell’accusa resta ancora la via della cassazione, già ipotizzata. Anche se le motivazioni del tribunale del riesame sono molto critiche sui metodi di indagine utilizzati dalla procura (il capo dell’ufficio Curcio e il pm Montemurra) e anche sulle decisioni del gip che ne ha fatto proprie le conclusioni.

Tre erano i filoni d’inchiesta, che hanno rischiato di provocare la caduta della giunta regionale. Due riguardavano la sanità, e sono quelli usciti distrutti dal tribunale della libertà. Il primo concerneva un progetto di costruzione del nuovo polo ospedaliero di Lagonegro, per il quale l’investimento iniziale di 70 milioni di euro sarebbe poi lievitato a 90. L’accusa si fondava dalla denuncia di irregolarità presentata da una persona considerata dal tribunale come non disinteressata, l’ex direttore generale, nominato dalla precedente giunta regionale, contro Presidente e assessori, ma anche nei confronti del proprio successore.

Sul punto il riesame è chiarissimo, e rimprovera pm e gip di essersi basati su giudizi superficiali e approssimativi. “Non sono emersi elementi concreti – scrivono i giudici – idonei a far ritenere che vi fosse un disegno criminale ritagliato su interessi economici privati” né che gli indagati “abbiano coltivato mire di profitti economici collegati ai lavori o al funzionamento del costruendo ospedale”. “Fuorvianti” e rancorose le dichiarazioni dell’ex direttore generale, la cui nomina del resto era stata già annullata dalla precedente giunta di centrosinistra, sul fatto che in Friuli con la cifra di 95 milioni si fosse costruito un ospedale con 760 posti letto. Soltanto un confronto buttato lì senza uno studio comparato delle due iniziative.

Rimane il fatto però che le parole di questo “ex dg-superteste” siano bastate per mettere in piedi la gran parte della retata, delle indagini e delle misure cautelari. Se la giunta lucana è rimasta in piedi, lo si deve solo al fatto che il presidente Bardi, cui si imputa la solita responsabilità “oggettiva”, è rimasto al suo posto, e che gli assessori sospesi ora potranno rientrare. Quanto al superteste, i magistrati del riesame tirano le orecchie al gip, soprattutto, che non ha saputo valutare le denunce dell’ex direttore generale in una “prospettiva psicologica”, che avrebbe imposto “al giudice di scrutinare con particolare rigore la credibilità oggettiva e soggettiva” della persona, “ricercando al contempo i necessari riscontri alle sue affermazioni con un impegno che, a parere del collegio, non è stato esaustivamente prodotto dal gip”. Che cosa aggiungere? Che la storia si ripete, sempre uguale. Tralasciamo per un attimo gli altri due filoni d’inchiesta.

Uno, è quello di voto di scambio elettorale su elezioni comunali del 2019, che aveva portato all’arresto della sindaca di Lagonegro, il cui Comune si era in seguito sciolto e le cui indagini sono ancora in corso benché il riesame abbia restituito la libertà alla ex prima cittadina. E l’altro, che ci fa un po’ ridere e un po’ piangere. Infatti ipotizza che, durante i primi tremendi mesi dell’epidemia da Covid, nella Regione Basilicata vi sia stata una corsia preferenziale per i vip e gli amici dei vip e gli amici degli amici per avere accesso ai tamponi diagnostici prima degli altri cittadini. Siamo sicuri che sia competenza della Dda indagare anche su queste vociferazioni?

Ma la storia si ripete, dicevamo. Ed è la facilità con cui l’amministrazione delle Regioni passa ormai da sinistra a destra e da destra a sinistra con una certa disinvoltura in seguito a inchieste giudiziarie che poi si sgonfiano come palloncini. Indimenticabile la storia della Calabria. Ma anche in Basilicata è andata così. Non è storia così antica la vicenda di Marcello Pittella, Presidente della Regione dal 2013 al 2018, quando fu arrestato con l’accusa di falso e abuso d’ufficio (a proposito) in un’inchiesta su nomine e concorsi nella sanità lucana. Lui si dimise, una parte del suo partito, il Pd, lo abbandonò ( un classico), poi nel 2019 la Regione tornò al voto e vinse il centrodestra (altro classico) con Vito Bardi. E lo stesso Pittella, da solo, tornato in consiglio con ottomila voti.

Poi succede che, e quasi ci vergogniamo a dire che anche questo fatto è un classico di queste storie, nel dicembre del 2021 l’ex Presidente della Basilicata è stato assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Il pm aveva chiesto tre anni di carcere per Pittella. Ora la graticola tocca a Bardi, una storia che non finisce mai. Ma forse questa volta un tribunale è riuscito a mettere un freno a questo scandalo dei governi decisi dai pubblici ministeri.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.