Walter Veltroni, recentemente hai scritto del mondo dei social con un occhio rivolto alla rivoluzione che l’intelligenza artificiale prefigura.

Noi abbiamo vissuto una accelerazione spaventosa nel corso degli ultimi anni. Se penso a com’era lo spirito pubblico, il nostro modo di conoscere, di comunicare, di sapere, solo dieci anni fa la differenza è clamorosa e ho l’impressione che i decisori non abbiano considerato fino in fondo la portata di questa rivoluzione. Nella storia contemporanea abbiamo avuto due grandi rivoluzioni, l’agricola e l’industriale. Ma la rivoluzione digitale ha un effetto sistemico che copre completamente lo spettro delle facoltà umane, entra direttamente nella vita di ciascuno di noi, nella nostra privacy, condiziona i comportamenti e lo farà nel lungo periodo anche dal punto di vista antropologico. È immaginabile che tenderemo ad avere una postura del corpo diversa se per strada si vede solo gente con la testa piegata sul cellulare; poi domani magari saranno gli occhiali, ulteriore sviluppo del Vision Pro. Queste tecnologie sono diventate compagne insostituibili della nostra vita ovunque, perché non c’è cittadino del mondo che non abbia uno smartphone. Quindi stiamo parlando probabilmente della più grande rivoluzione tecnologica della storia umana, che non può non avere conseguenze su di noi, sulle nostre scelte, sul formarsi delle opinioni, sul sistema delle relazioni umane. Mi pare sia un fatto abbastanza evidente a tutti tranne che a quelli che dovrebbero vederlo.

I social sono stati fondamentali nella circolazione di fake news su tutto. Arginarne gli effetti non è un po’ come svuotare il mare con le mani?

Se non stiamo attenti si creerà un cortocircuito difficilmente governabile tra democrazia e tecnologia, perché questa è per sua natura veloce, non ammette processi di decisione, è tutto bianco e nero, pollice su e pollice giù, tutto recinti precostituiti determinati dalla stessa logica dei social. Ti hanno mai suggerito come amico qualcuno che la pensasse diversamente da te? No. Tendono a costituire dei recinti omogenei nei quali piovono poi i messaggi pubblicitari necessari, le profilazioni necessarie a creare una umanità omologata. Non so se questo fosse il disegno originale o se le cose siano andate in questa direzione, però sicuramente tra complottista e ingenuo c’è un confine e vorrei che noi in quel confine agissimo, cioè quello definito dalla coscienza critica. Siamo sicuramente in una stagione in cui le fake news ci appariranno qualcosa del passato, siamo nel tempo della fine della verità, che non esiste più perché tutto è ricostruibile, manipolabile, inventabile. Con l’intelligenza artificiale le nostre parole, con la nostra stessa voce, possono essere completamente stravolte, il che significa che non esiste più, in una società così veloce, la possibilità della verifica della realtà. A questo aggiungi che la democrazia per sua natura è lenta, processuale, fatta di parole, mediazioni, compromessi, discussioni. Ma questa società non tollera tutto ciò e da un lato ha bisogno di velocità, dall’altro di semplificazione estrema. La somma di queste due cose alla fine genera una domanda di autoritarismo per cui la crescita delle suggestioni autoritarie nel mondo, per me, è frutto prevalentemente di questo.

Gli intellettuali alla Pasolini sono stati soppiantati da influencer.

Pasolini troverebbe terribile conferma della sua diagnosi sui processi di omologazione, sulla divaricazione tra sviluppo e progresso, ma basta solo Umberto Eco. Lui ha insegnato a non disprezzare la televisione cogliendone anzi criticamente la potenza e il valore e ha combattuto la dicotomia tra apocalittici e integrati ma, alla fine della sua vita, si scagliava contro le aberrazioni dei social, non della tecnologia che di per sé è neutra. Senza che la democrazia riesca a cercare il punto di armonia tra la rivoluzione digitale, le esigenze della qualità della vita e delle relazioni tra le persone, si è fatto strada qualcosa che non può che essere anomalo. Io penso sempre ai ragazzi perché secondo me sono il punto da cui partire. Tutti i neuropsichiatri giovanili ti dicono che ci sono forme di autentica dipendenza, per cui prova a togliere a un ragazzo di 13 anni il cellulare e vedi che reazione ha. E pensa a questi ragazzi costretti ad avere un pubblico e a contare i followers. Mi ha raccontato una specialista che uno dei motivi che li spinge ad andare in terapia è il confronto sul numero dei followers con il compagno di banco. I followers sono un giudizio permanente, se tu hai un pubblico questo ti giudica. Ma tu a 14 anni sei in condizione di essere giudicato? Hai la forza, nel momento in cui ti stai formando, di resistere alla durezza e all’asprezza di giudizi che in quel tempo della vita non sono fatti con la piuma ma con l’accetta? Per stare sui social bisogna avere una bio come la chiamano, cioè bisogna raccontarsi. Ma cosa racconti a 14 anni? Devi costruirti un’identità che spesso non è reale. La tv tu puoi accenderla o spegnerla mentre questi mezzi restano sempre accesi, onnipresenti. Se tu a quell’età subisci del bullismo mediatico non è come quando succedeva a noi da ragazzi che trovavi quello più grosso in classe che ti rompeva le scatole, soffrivi ma restava là. Ora hai la sensazione che chiunque, spesso anche i tuoi genitori che sono assidui frequentatori, sappia tutto di te e ciò avviene en plein air e in modo inesorabile.

Ormai i social impattano anche sul Festival di Sanremo, al punto che i reduci dai talent sembrano dei vecchi rispetto a giovanissimi artisti che spopolano su questi canali.

Ci sono persone che vanno in giro per degli eventi, come si chiamano adesso, e incontrano migliaia di ragazzi. Né tu né io sappiamo chi sono, e fin qui chi se ne frega… Ma alla domanda “Cosa hanno fatto queste persone per avere migliaia di sostenitori?” la risposta è: “Sono influencer”. È il trionfo del Grande Fratello. Se i talent si chiamano così è perché devi avere del talento, nel Grande Fratello è richiesto esattamente il contrario, tu non devi sapere fare nulla. Se sai fare qualcosa non ti prendono, questa è diventata la filosofia della nostra vita quotidiana, per cui la competenza, l’esperienza, il sapere sono tutti considerati degli assurdi fastidi. La gente che contesta i medici e i professori ti sta dicendo che è tutto inutile, perché uno vale uno. La filosofia di fondo è questa, è una sostanza che ha dentro di sé un’anima autoritaria così come, in queste forme, sono sempre emersi i poteri autoritari.

In questa rete senza protezione cosa dovrebbe fare la politica?

La democrazia dovrebbe fissare delle regole, come avvenuto con l’invenzione dell’automobile. Qui invece, nella più grande rivoluzione della storia umana, nessuno si è azzardato a farlo, è un meccanismo che ha dentro di sé degli elementi di difesa. Questa assoluta assenza di regole genera una condizione nella quale realtà che non esistono possono incidere sull’opinione pubblica, per cui si comprano i followers a certi indirizzi e tu pagando autoalimenti la tua ricchezza, la tua popolarità e la tua capacità di influenza. C’è gente che riceve centinaia di messaggi di insulti che probabilmente sono generati da una persona sola. Tutto questo non può non alterare la democrazia, creando una condizione in cui tutto è emotivo e irrazionale, semplificato, urlato, figlio di un tifo da stadio che è entrato nel discorso pubblico e che rende persino Sanremo un territorio dove si scatenano odi e rancori.

L’intelligenza artificiale in cosa può trasformare le nostre vite?

L’intelligenza porterà degli straordinari benefici sul piano scientifico e medico. Avremo delle evoluzioni che probabilmente oggi non riusciamo a immaginare, una velocizzazione nella cura di tante malattie. Per il resto a me sembra che si stia andando da zuzzurelloni a questa scadenza, perché sia sul piano del lavoro che su quello della comunicazione e della relazione tra se stessi e la verità, si aprono degli abissi spaventosi. Se domani arriva un messaggio di minacce con la voce di Obama a Trump che lui magari fa sentire in tv o mostra sui social è un meccanismo incontrollabile. Nel bellissimo libro Infocrazia si dice che “il soggetto sottomesso nel regime di informazione non è né docile né ubbidiente. Piuttosto si crede libero autentico e creativo, produce e performa se stesso”. Quindi quando ti dicono è gratis, il prezzo sei tu, è la tua vita. Ogni volta che noi muoviamo il dito su quel cellulare stiamo definendo il nostro profilo e quello produce soldi, i big data vendono soldi. Pensa a Trump che, comprandoli, sapeva sulla base dei comportamenti quanti erano già dalla sua parte, quanti dovevano essere conquistati… il vero Grande Fratello, ma quello di Orwell. L’intelligenza artificiale ha bisogno di regole e mi sembra che i primi a rendersene conto siano quelli che l’hanno inventata, visto che uno dei suoi padri ha detto di non essere in grado di prevedere gli effetti di questa rivoluzione.