Sono ore concitate in Israele, a poco più di ventiquattrore dagli strike compiuti dall’Idf in Qatar volti a decapitare la leadership di Hamas nel loro «esilio dorato» qatariota, e a poche ore da nuovi bombardamenti compiuti in Yemen, che hanno preso di mira 15 obiettivi militari, tra la capitale Sana’a e la regione settentrionale di al Jawf. Gli Houthi hanno affermato che le difese antiaeree dei ribelli yemeniti hanno limitato i danni causati dall’attacco, che secondo fonti israeliane, ha ottenuto comunque l’effetto desiderato. Diverso è il discorso relativo al Qatar: tra le fila del governo di Gerusalemme monta la preoccupazione per la possibilità concreta che a Doha in realtà non sia stato ucciso alcun leader di Hamas. Scenario che tuttavia viene smentito dalla stessa organizzazione palestinese, secondo cui sarebbero state uccise 6 persone, nessuna delle quali però di alto rango.

Alla domanda se Israele abbia conseguito gli obiettivi in Qatar, l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Yechiel Leiter, ha affermato sibillino: «Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima», a rimarcare la posizione granitica del governo israeliano, secondo cui il fine – eliminare la minaccia terroristica – giustifica i mezzi – in questo caso, un bombardamento mirato nel territorio sovrano di un Paese terzo. Vero è che l’incursione in Qatar rappresenta un episodio che non ha precedenti nella storia delle relazioni bilaterali tra i due Paesi, mentre non è la prima volta che Israele colpisce obiettivi Houthi nello Yemen: a maggio, l’Idf ha colpito varie località, tra cui Sana’a e il porto di Hodeyda, oggi in mano ai ribelli. A giugno e luglio, Gerusalemme ha effettuato diversi attacchi aerei ancora su Hodeyda, in risposta ai ripetuti attacchi missilistici e con droni contro Israele e lo stretto di Homutz (ovvero la principale via per il trasporto di petrolio e gas naturale da tutto il Medio Oriente verso i mercati europei, asiatici e americani). Ad agosto, infine, Israele ha lanciato altri attacchi aerei nello Yemen, uccidendo finanche il primo ministro – autoproclamato – degli Houthi, Ahmed Ghaleb Nasser al-Rahawi.

Più in generale, solo nel 2025 Israele ha attaccato molteplici volte una serie di obiettivi militari legati alle operazioni anti-terrorismo in altri tre Paesi chiave del Medio Oriente: Libano, Siria e Iran. Il governo italiano si è detto sorpreso dall’attacco israeliano, accodandosi allo sconcerto generale sortito in Europa (forse più legato all’incertezza della sorte dei leader di Hamas che non per questioni leguleie di diritto internazionale). La stessa Giorgia Meloni è stata tra i più solerti capi di governo a esprimere «a nome mio personale e del Governo italiano sincera vicinanza all’Emiro Tamim bin Hamad Al Thani e al Qatar, ribadendo il sostegno italiano a tutti gli sforzi per porre fine alla guerra a Gaza».

Il che ha un senso pienamente compiuto, se si tiene conto dei cruciali rapporti bilaterali Roma-Doha: irrobustiti sin dal 2024, con la visita dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani a Roma, da allora il ministro degli Esteri Antonio Tajani e l’omologo Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani (che è anche capo del governo) lavorano per consolidare la loro partnership.
Grazie a tali buoni uffici, il Qatar ha preso posto anche alla Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina, a conferma del fatto che le relazioni bilaterali (e multilaterali) sono più che solide e sbilanciate verso Ovest. Le iniziative congiunte si sostanziano anche nei progetti messi in campo dalla Farnesina con il Qatar Fund for Development, braccio operativo commerciale dell’Emirato. Del resto, il governo Roma trova in Doha una sponda importante per la cooperazione sul Piano Mattei, orgoglio e orizzonte strategico del nostro governo.

Oltre a ciò, Doha è un partner commerciale che pesa per oltre 4 miliardi di dollari sul Pil italiano: questa la cifra registrata nel quinquennio 2020-2024, con l’Italia che ha visto un aumento del 138% soltanto nelle esportazioni di armi, ma che trova nel settore energetico il driver principale. Prova ne sia la presenza crescente di Eni nell’Emirato, specie intorno al North Field, il più grande giacimento di gas naturale al mondo antistante la penisola qatariota che, si stima, possa contenere il 10% delle riserve mondiali di gas naturale. Roma guarda a Doha per garantirsi sicurezza energetica e stabilità delle forniture, soprattutto dopo l’inizio dell’invasione su larga scala della Russia in Ucraina e il rimodellamento delle fonti di approvvigionamento. Oltre a ciò, l’Italia esporta numerosi beni nell’Emirato: dai mezzi di trasporto (per un valore che supera il mezzo miliardo di euro) ai prodotti in metallo, macchinari e attrezzature (per il medesimo valore economico), fino alle apparecchiature e prodotti di elettronica. Il Qatar, da parte sua, considera l’Italia come un cliente stabile e un partner affidabile con cui pianificare collaborazioni a lungo termine, essendo lo Stivale la chiave per aprirsi un varco in Occidente. In qualsiasi campo, dal commercio all’intelligence, fino alle telecomunicazioni e nello sport.

Luciano Tirinnanzi

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