Abbasso la Dad! Promuoviamoli tutti! La Dad, se ancora non ne hai compreso l’acronimo, è la didattica a distanza. Ciò che la maggior parte dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze vive, subisce, soffre in questo momento storico davvero straordinario. Dovendo appunto affrontare l’avventura scolastica, ripeto: subendola.

La didattica a distanza, sia detto con estrema sincerità, di più, chiarezza, è ormai quasi un crimine che colpisce l’emotività dei nostri ragazzi. Ne mette a durissima prova il quotidiano, la salute, lo sguardo, la gioia mentale e interiore, l’idea stessa di apprendimento, di acquisizione del sapere, fosse anche il più ordinario. La semplice idea che qualcuno, genitore certamente ottuso, possa dire “… che, no, per mio figlio va benissimo, ce la fa, gli è bastato stringere i denti, alla fine va bene così”, nulla toglie alla sua insostenibilità, alla sua sostanza innaturale.

È in atto una pandemia, cosa nota, e davvero si tratta davvero di stringere i denti, ma la semplice idea che 50 minuti di lezione a distanza possano davvero penetrare la sfera dell’attenzione è pensiero semplicemente delirante. Tutto ciò dovrebbe essere chiaro in primo luogo a chi la scuola ha il dovere o, più semplicemente, è costretto a governarla, cominciando, ancora in primo luogo, dagli insegnanti, i docenti, i prof. Questi ultimi, a loro volta, aldilà dei mille storici limiti dell’organizzazione scolastica stessa, vanno immaginati non meno provati, frustrati, inadeguati, mortificati. Così come siamo provati tutti, genitori compresi. E ancora sia le fasce sociali più deboli cui è negata una connessione di rete decente sia i “figli di papà” cui ogni cosa è concessa, tutti comunque dentro la bolla grigia della quarantena, di un “lockdown” che sembra mostrarsi perenne, un esilio in grado di desertificare le esistenze di tutti.

Le esistenze di chiunque sembrano avere perso ogni filo di contatto con la realtà, di più, con il principio e la pratica del piacere e della gioia, dello svago, dell’evasione doverosa a maggior ragione per chiunque stia vivendo la propria adolescenza. A meno che si voglia sostenere la scuola come luogo di sofferenza ancor prima che di apprendimento, così come ritenevano gli insegnati con addosso ancora il tanfo d’orbace. Trovando irrilevante, se non fisiologica, la conseguente dispersione scolastica, meglio, l’evasione dalla sofferenza di una pratica di studio che produce altrettanta alienazione.

Se la lotta per le otto ore – “e se otto ore vi sembrano poche…” – era un dovere civile e umano, riferendoci alla Dad neppure un’ora di lezione di cinquanta minuti – leggi: 50 – appare tollerabile nella prassi della didattica a distanza, e come tale richiede che si sollevino le bandiere della rivolta. Perfino in barba a chi un tempo, risentito, sosteneva l’inaccettabilità del voto politico, la risposta al costo della sofferenza dei ragazzi in atto, suggerirebbe che per quest’anno l’intera popolazione scolastica sia “promossa” d’ufficio, in nome del rispetto e della salvaguardia della serenità stessa dei ragazzi. L’onore della Scuola ha ben altre cose da farsi perdonare.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate