Il giorno in cui si salvano insieme è anche quello in cui mostrano, insieme, la loro debolezza
La Russa e Santanchè: staranno insieme, cadranno insieme?
La ministra del turismo Santanchè incassa il voto di fiducia. Ignazio La Russa alla cerimonia del Ventaglio spiega le frasi sul figlio.
Il giorno in cui si salvano insieme è anche quello in cui mostrano, insieme, la loro debolezza. Goffamente nascosta dietro timidi applausi, imbarazzi, sorrisi di circostanza per tacere di certe affermazioni. “È una bellissima giornata” dice la ministra Santanchè appena incassato il voto di fiducia. “È stato un dibattito civile con un voto chiaro, libero e democratico” commenta la giornata il presidente del Senato Ignazio La Russa. Il calendario, il caso, il destino oppure un’attenta regia, li ha messi insieme. Lei, la ministra, di mattina a tenere a difendere con le unghie e con i denti l’incarico di ministra dall’ombra lunga di inchieste giudiziarie ma, soprattutto, dal sospetto di una incompatibilità di fondo con l’incarico politico per una lunga serie di motivi che possono essere sintetizzati in una parola sola: conflitto di interessi. Lui, il presidente del Senato, padrone di casa della tradizionale cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare a gestire il suo momento più difficile. Non tanto, come si potrebbe immaginare, per le vicende familiari avendo anche ieri spiegato che non ripeterebbe più quelle frasi assolutorie verso il figlio indagato per violenza carnale e di accusa verso la ragazza. Ma perché chiamato a gestire il presente e il futuro di Daniela Santanchè, l’alter ego del suo ticket politico, sua cliente di studio nonché socia in affari, con la moglie, in compravendite immobiliari. La Russa-Santanchè sono un vero asse di potere a Milano. Che adesso comincia ad essere un po’ ingombrante per Giorgia Meloni. Simul stabunt, simul cadent, cadono o resistono insieme, direbbero i latini.
Il dibattito sulla mozione di sfiducia individuale è stato gelido e scontato. La maggioranza si è ricompattata in buon silenzio e tra molti imbarazzi. Le opposizioni si sono divise. Il testo presentato dal Movimento 5 Stelle e appoggiato da Pd e Alleanza Verdi e sinistra, ha ottenuto 67 voti favorevoli, 111 contrari e nessun astenuto. I senatori di Azione e Italia viva – come annunciato – non hanno partecipato al voto. Il capogruppo Enrico Borghi ha spiegato perché: “Le mozioni individuali di sfiducia sono sempre fallite, è uno strumento sbagliato e non servono ad altro che ad abbassare la qualità della politica. Nel caso specifico, poi, siamo convinti che serva solo a dare più forza ad una ministra che ha fin troppi motivi di imbarazzo. Di più – ha continuato Borghi – è un favore che il Movimento 5 Stelle sta facendo a Meloni mentre insieme trattano sulle nomine Rai”. Glielo aveva detto il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo: “State facendo un grosso errore politico: la mozione individuale di sfiducia non fa che rafforzare la ministra, ricompattare la maggioranza e nel frattempo avete spaccato le opposizioni”. Dai banchi della Lega non pochi senatori in questo mese – la prima informativa della Santanchè è stata il 5 luglio – hanno suggerito di “andare a vedere come sta svolgendo il mandato da ministra, da quanto tempo gli affari di Daniela viaggiano in acque tempestose”, insomma, tutto ma di lasciar perdere la mozione di sfiducia.
Il risultato è che Conte ha attaccato duramente “le opposizioni che oggi hanno disertato l’aula” e che quindi sono “complici” di una “maggioranza che ha salvato la ministra nonostante abbia platealmente mentito al Parlamento e ai cittadini”. Nelle tre ore di dibattito si sono fatte ben ascoltare le parole del senatore Luigi Spagnolli (Autonomie). Non ha condiviso lo strumento della mozione di sfiducia ma, ormai che ci siamo “voglio dire come le penso”. Il problema signora ministra “non è che lei si debba dimettere da ministro. Il problema è che lei sia diventata ministro. Non è il Senato che la processa ma il groviglio di menzogne nell’aula del Senato, di potenziali conflitti interesse, di vicende tutte da chiarire che la rendono politicamente incompatibile con il suo ruolo”. Segue l’elenco impietoso delle domande a cui dovranno rispondere le inchieste della magistratura: gli ex dipendenti ancora in attesa del TFR; che fine hanno fatto i 2,7 milioni di euro prestati da Invitalia alle società Visibilia e Ki Group; c’è stato uso fraudolento della Commissione d’inchiesta Covid come denunciano alcuni dipendenti? “È opportuno – ha chiesto Spagnolli – che la Santanchè-imprenditrice negozi con l’Agenzia delle Entrate il rientro dei debiti fiscali quando la Santanché-Ministra siede in Cdm con il Ministro che dell’Agenzia ha responsabilità diretta?”. O che la Santanché-imprenditrice porti a garanzia gli introiti del Twiga quando la Santanché-Ministra è impegnata sul rinnovo delle concessioni ai balneari?”.
I filoni di indagine per cui la ministra del Turismo è indagata o di cui sono oggetto le sue attività imprenditoriali ipotizzano il falso, la bancarotta, l’aggiotaggio, la truffa. Sempre che non porti altro anche la miracolosa compravendita della villa a Forte dei Marmi che ha fruttato in meno di un’ora un guadagno di 753mila euro alla famiglia La Russa-Santanchè tramite le maglie del presidente del Senato e il compagno della ministra.
Daniela Santanchè ha voluto parlare anche ieri mattina. Ha ribadito di non aver mai mentito all’aula e ai colleghi. E ha provato a tornare sulla storia delle “pseudo inchieste giornalistiche” e delle fughe di notizie. Ma il problema non è più quello. Sono foglie di fico. Come quella del garantismo. Intorno alla ministra una decina di ministri. Né la premier Meloni né il sottosegretario Mantovano. Lì sopra c’era però il vocione rassicurante del presidente La Russa. Simul stabunt. Simul cadent.
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