L'intervista
La scuola italiana e la cultura del voto, Corsini: “Un giudizio descrittivo è più educativo”
Nel suo ultimo libro, “La fabbrica dei voti. Sull’utilità e il danno della valutazione” il professore Cristiano Corsini analizza i benefici delle valutazioni non sintetiche. Dal calo delle assenze all’annullamento di gerarchie e rivalità tossiche tra studenti
Il dialogo con Cristiano Corsini (professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università RomaTre) era desiderato da tempo. Le sue riflessioni su una scuola senza voto stanno facendo il giro dell’Italia, stimolando un intenso dibattito tra insegnanti, dirigenti e genitori. I contenuti di tante sue ricerche sono ora raccolti nel libro “La fabbrica dei voti. Sull’utilità e il danno della valutazione”.
Un libro provocatorio sin dal titolo. Vuole dire che diamo troppa centralità al voto?
«Voglio dire che abbiamo fondato la valutazione sui voti e non viceversa, o peggio, l’abbiamo fatta addirittura coincidere con l’attribuzione di un voto. È un errore didattico che paghiamo carissimo».
Ci sono alternative?
«Non metterne proprio durante l’anno. La legge sostiene che il voto è obbligatorio solo nella fase di scrutinio. Obbligatoria, durante l’anno, è invece la valutazione, che può essere di tipo sintetico (cioè numerico, come “6”, o non numerico, come “sufficiente”) ma anche descrittivo. Molti docenti e alcune scuole hanno cominciato a utilizzare solo quest’ultima».
Quali sono i vantaggi?
«Il primo, importantissimo, è il grandissimo calo delle assenze, che in molti casi, come tutti i docenti sanno, sono legate alla pressione delle verifiche e del voto. E poi c’è un’altra concreta utilità: dove si usa la valutazione descrittiva, cala notevolmente una certa competizione tossica tra gli studenti, che molto spesso è alimentata da dinamiche familiari: migliorano sia le relazioni con i compagni che quelle con i docenti. Nelle aule in cui si opera in questo modo, inoltre, i ragazzi imparano ad autovalutarsi più che a soffermarsi sul voto. Del resto, nella vita adulta, raramente qualcuno continuerà a dar loro dei voti, mentre sarà molto più importante saper riflettere sulle proprie azioni per poterle migliorare».
Come deve essere, allora, una buona valutazione descrittiva?
«Deve avere tre semplici caratteristiche: deve esplicitare le cose fatte bene, quelle non fatte bene e infine fornire indicazioni concrete per migliorare ciò che non è stato fatto al meglio».
Non Le sembra più utile usare entrambi gli strumenti: sia una valutazione descrittiva che una numerica?
«Nel risponderle le faccio una premessa: per me l’insegnamento non è scienza ma artigianato, nel senso che l’obiettivo è trovarsi bene, senza l’ossessione di dover generalizzare i metodi. Un mix di valutazione descrittiva e sintetica (il voto) è sicuramente meglio della sola valutazione sintetica, però generalmente funziona meglio il solo strumento descrittivo, perché quando ci sono entrambi lo studente e la famiglia tendono a concentrarsi sul voto e a sottovalutare notevolmente, soprattutto se le cose vanno bene, i consigli della valutazione. E poi il voto numerico in itinere è spesso una forzatura…».
Perché?
«Perché non tutte le attività possono essere valutate con una scala da 1 a 10, la quale è molto più utile per una serie di attività che per una sola attività. L’illusione che ogni attività debba essere valutata con un voto, infatti, porta a forzare la valutazione, che diventa artificiosa e soggetta a distorsioni ricorrenti. Non è un caso che non di rado due docenti danno un voto diverso alla medesima prova. La realtà è che generalmente il voto è molto meno preciso di un riscontro descrittivo».
Eppure sono molto diffuse le richieste di voto dei dirigenti, che talvolta richiedono valutazioni periodiche bimestrali anche con riferimento numerico…
«Queste richieste spesso sono una forzatura dei Dirigenti: nessun docente può essere obbligato a mettere un voto numerico sul registro se non nelle fasi di scrutinio. Certamente il Consiglio di Classe può chiedere un riferimento sintetico, ma è obbligatorio alla fine, non in itinere, e non è affatto detto che esso vada continuamente assegnato agli alunni e condiviso con le famiglie»
Questa “cultura del voto” incide su tutti i gradi di scuola?
«Direi di sì. È una tendenza dannosa persino nella primaria, dove ci sono voti non numerici ma comunque sintetici. Tutto questo educa sin da piccoli a un’idea di relazione umana basata sulla gerarchia, sulla competizione e sulla tendenza a concepire i gruppi umani in termini di sommersi e salvati. Una cosa che con l’educazione non dovrebbe avere nulla a che fare».
Un’ultima domanda sulla scelta del Ministro Valditara di vietare gli smartphone anche nella secondaria di secondo grado.
«Mi sembra molto grave. La didattica è un campo in cui deve decidere il docente, non il Ministro. In contesti in cui troviamo adolescenti con lo smartphone, ci sono docenti che lo usano per svolgere una didattica efficace. Si tratta di una scelta, non ha senso che su di essa intervenga il ministro. Possiamo essere favorevoli o contrari, ma non possiamo essere ciechi su ciò che rappresenta questo atto rispetto alla libertà di insegnamento».
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