Il presidente del Movimento Cinque stelle Giuseppe Conte, in una delle sue quotidiane esternazioni, ha dichiarato testualmente: «In Italia c’è un problema di salario minimo da risolvere. Non mi costringete ad incatenarmi davanti al Parlamento». Una dichiarazione che si presta a troppo facili ironie. Tanto vale limitarsi all’essenziale: in 161 anni di storia, il Parlamento e i governi italiani hanno prodotto innovazioni memorabili che hanno contribuito a trasformare l’Italietta in una potenza del G7, senza che ex presidenti del Consiglio o segretari di partito ricorressero ad esibizioni circensi.

Giolitti e De Gasperi, Nenni e Togliatti, Fanfani e Moro, Craxi e Berlinguer talora hanno spinto sul pedale dell’emotività, ma evitando gli assoli esibizionistici. Non è la prima volta che l’avvocato Conte si produce in esternazioni sopra le righe. Nel suo esordio si autoproclamò “avvocato del popolo”, glissando su una delle attività  che aveva svolto fino a quel momento: l’avvocato d’affari. Nulla di illecito ma l’incoerenza, persino in un’epoca come l’attuale, prima o poi si paga. Una volta si fece fotografare accanto al capo della Lega con due cartelli: «Decreto Salvini, sicurezza e immigrazione». Erano scritti talmente male da costringere lo stesso Conte (ma con una maggioranza opposta) a riscriverli.

Ma attenzione: la sparata di Conte è la prima di una campagna elettorale che i 5 Stelle giocheranno alla caccia dell’identità perduta. Nel 2018 ottennero un risultato straordinario, il  32,7%, con parole d’ordine antisistema. Da quel momento il M5S è entrato al governo e non ne è più uscito. E’ l’unico partito che ha partecipato a tutti e tre i (diversissimi) governi che si sono succeduti. Ma ora, per tamponare la potente emorragia di voti in atto da 4 anni, non gli resta che la scorciatoia di tornare per qualche mese antisistema. Pronti, subito dopo, a rientrare al governo.