Nel giorno in cui a Sharm el-Sheikh si aprono i delicatissimi negoziati per tentare di mettere fine alla guerra nella striscia di Gaza, con Hamas costretta ad accettare di sedersi al tavolo e con gli Usa vincenti e dirompenti, Italia e Germania si godono la partecipazione e l’attivismo in barba ai due grandi assenti Gran Bretagna e Francia.

L’azzardo propagandistico privo di qualsiasi logica politica ha finito per rivoltarsi contro le aspirazioni anglo-francesi. Ma quando l’ala politica di Hamas prova a piegare – almeno per il momento l’ala militare -, Emmanuel Macron vede infrangersi sul muro eretto dalla sinistra di Mélenchon l’esecutivo targato da Lecornu. Una commedia quella d’oltralpe che indebolisce politicamente una nazione cruciale per la tenuta del fronte europeo nell’attuale congiuntura internazionale, ma che ad oggi sembra non trovare alcuna via d’uscita. Lecornu era l’ultima carta, l’ultima opportunità per evitare un ritorno alle urne prima delle presidenziali del 2027, con il rischio concreto che questa volta il “muro” eretto contro Bardella e Le Pen non regga. Del resto nella destra francese, così come nella sinistra, il dopo Macron è già in atto, ed è chiaro a tutti che gli orizzonti limitati, le vecchie preclusioni e i no apodittici non trovano più ragione d’essere. Il voto dell’estate 2024 è stato un primo segnale e i tatticismi del secondo turno alla fine hanno finito per mettere la polvere sotto il tappeto, ma il tappeto sta già levitando.

Le soluzioni prospettate tra cui i fantomatici governi tecnici che piacciono tanto alla salotteria nostrana, ai cugini d’oltralpe non piacciono. Il bonapartismo Macronista è oramai lo spettro di sé stesso, giunto nel peggiore dei modi ai titoli di coda. La Francia ora si trova ad un bivio più profondo dei rancori novecenteschi, ed è quello di fermare la sinistra estrema islamista e (con simpatie per Hamas) di Mélenchon. La “France insoumise” oggi può essere fermata solo da una coalizione di centrodestra che Macron non può più ostacolare. Perché é in gioco la tenuta della Francia, sul piano politico, sociale e valoriale, e con Parigi é in gioco anche una grande fetta d’Europa. La Francia paga le sue colpe, e subisce un capovolgimento della sorte, dopo anni in cui pur avendo le toppe ha voluto giocare il ruolo della “maestrina d’Europa”, ma le toppe alla fine sono saltate e la verità è venuta a galla.

Quando la civiltà occidentale fondata su quella europea costringe i terroristi al tavolo della trattativa e ricuce le ferite tra mondo islamico e Israele, Parigi si ripiega su sé stessa. Assente insieme a Londra, avendo scelto dolosamente di seguire la piazza e abbandonare la politica. Contrariamente a Italia e Germania che hanno scelto la politica e ignorarono rigurgiti antisemiti di una piazza ideologica e piegata alla propaganda del terrorismo palestinese. La politica è altra cosa, ed è quella del piano Blair, la politica come sempre é realismo e giammai fanatismo. Il riconoscimento della Palestina in assenza di un piano politico è stato un voler giocare una partita nazionale sul piano internazionale, un gioco che Starmer e Macron hanno pensato riuscisse ad attrarre loro i consensi ed attenuare le pressioni.

Ma il piano è saltato, perché l’appoggio di Washington – cosa che spesso si ignora – è l’unica garanzia di cui Tel Aviv necessita, tanto sul piano politico che su quello militare. Ora la speranza – benché il rischio sia alto – é quello che calmati i bollori delle piazze, frenata la propaganda di Hamas che i media occidentali trasmettono senza obiettare, si torni alla politica, e che la cooperazione a Gaza costruisca finalmente quelle stabilità a cui miravano e mirano tuttora gli “Accordi di Abramo”. Quanto alla Francia, l’unica soluzione è lasciare libero il popolo francese di scegliere, senza dopare il voto con vuoti tatticismi che conducono all’ingovernabilità.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.