La doppia iniziativa centrista del 18 gennaio, a Milano e a Orvieto, sembra aver fatto proprio il motto prussiano del “marciare divisi, colpire uniti”. E la meta parrebbe correre in soccorso di quel campo largo ormai relegato nel ruolo di spalla del governo Meloni e che ad oggi nessun sondaggio, neanche quelli d’area, accredita come competitivo per il governo del Paese. Ma non crediamo si possa salutare l’operazione come una apertura del campo progressista, pur fortemente auspicabile. Il campo largo sarà anche diviso su tutto, ma ha radice comune: Enrico Berlinguer. L’eredità del segretario del Pci, al tempo stesso condivisa e contesa, evocata sulle tessere di partito, nei manifesti, delle mostre, nelle pellicole cinematografiche, tiene insieme post e neo comunisti, giustizialisti e assistenzialisti, più di quanto non riesca a fare il governo (che pure, per compattare le opposizioni, ci mette senz’altro del suo).

Il tentativo di gruppi di democristiani di sinistra, sino ad oggi collocati appena dentro o appena fuori il Pd, non pare finalizzato ad aprire una revisione profonda degli schemi della coalizione, ma a complementarli. Non è un caso se Graziano Delrio, lanciando l’iniziativa centrista di Milano in un’intervista sul Corriere della sera, rievoca proprio Berlinguer.
Il tema che pare venire posto dalle due iniziative è su aspetti certo rilevanti, ma più ri-organizzativi che strutturali. Insomma, non si fa nulla per mettere in discussione la natura profonda della coalizione. Per dare un’alternativa al Paese rispetto al governo conservatore non serve un cespuglio in più, ma un radicale cambio di prospettive, uno scatto di elaborazione e di proposta.

Il campo largo va sfidato in campo aperto, non puntellato, ingentilito, riequilibrato. Partendo dalle necessità di quelle donne e quegli uomini che oggi guardano altrove o nel non voto. Bisogna avere il coraggio di dire che trent’anni di stipendi fermi hanno messo alla corda le famiglie, i risparmi, i territori. Che un milione di giovani italiani ha scelto l’estero non inseguire carriere fulminanti, ma una promessa di normalità. Che abbiamo un cuneo fiscale tra i più alti del mondo e una dimensione produttiva in crisi strutturale. Che fare impresa in Italia è più difficile che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, a meno che non si abbiano capitali personali o familiari alle spalle.

Che sanità ed istruzione universali o si rilanciano o si condannano a una lenta ma segnata agonia. E che compilare un’incompleta lista dei mali che affliggono l’Italia è un esercizio di stile se non si ammette che sono mali figli della seconda repubblica e in quota parte responsabilità delle forze che l’hanno tenuta a battesimo e governata, tra queste il Pd. Si può risvegliare l’Italia da trent’anni di declino (ora più lento, ora più rapido) se si ha il coraggio di ripartire da un’analisi dei problemi che non sia falsata dalla lente deformante della polarizzazione, che ha trasformato il dibattito politico in una disfida tra post-comunisti e post-fascisti più adeguata a un film del primo Muccino che a un Paese fondatore dell’Unione Europea.

In questo il campo largo non ha soluzioni che non siano rifugiarsi in narrazioni che trovano riscontro nel proprio retroterra culturale, ma non nei fatti. Il radicalismo di maniera, una raffazzonata lotta di classe, l’intersezionalismo come religione laica sono chiavi di lettura inadeguate. E che vanno sfidate: al collettivismo si deve rispondere con il pluralismo, al corporativismo con la società aperta, alla lotta alla ricchezza una lotta senza quartiere (e senza confini) alla povertà. Alle simpatie per i tiranni l’amore ostinato per la libertà.
Metà Italia non vota, l’Europa e il mondo rischiano di scivolare verso sovranismi inquieti. Serve una sfida che sia culturale e concreta, sui temi e sulle leadership. Che abbia la forza e la visione del socialismo liberale. Ormai in tanti ne condividono necessità e urgenza. Ha ragione Mieli, occorre una formazione con un profilo del tutto diverso da questa sinistra.
Questo è il punto.

Tomaso Greco - Sergio Scalpelli

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