La lettera al Riformista di Bruno Manfellotto.

Caro Direttore,

se le chiedo ospitalità è perché a scrivere il primo capitolo della storia che sto per raccontare fu proprio lei. È una vicenda cominciata con grande slancio, e che però rischia ora un’allarmante battuta d’arresto. Bisogna evitare che tutto finisca in malora.

A gennaio del 2016 fu il presidente del Consiglio Matteo Renzi a lanciare l’idea di recuperare il Carcere di Santo Stefano, penitenziario per ergastolani costruito dai Borboni nel 1795 su uno scoglio impervio dinanzi all’isola di Ventotene, chiuso finalmente nel 1965, dichiarato monumento nazionale solo nel 2008, ma poi dimenticato, abbandonato a sé stesso, in rovina.

Grazie a quel progetto e a uno stanziamento consistente, 70 milioni, a restauri finiti Santo Stefano avrebbe conosciuto una nuova vita diventando museo della memoria e sede di studi e di riflessioni sull’Europa e il Mediterraneo. L’idea cadeva nel momento più opportuno e dava a quel luogo una destinazione coerente con la sua storia: un anno dopo, nel 2017, sarebbero stati celebrati i sessant’anni del Trattato di Roma, atto di nascita dell’Europa unita, sogno politico ispirato dal “Manifesto” scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi a Ventotene dove il fascismo li aveva confinati; il 20 agosto 2017 la portaerei Garibaldi, ancorata dinanzi all’isola, avrebbe ospitato un vertice tra i premier di Italia, Francia e Germania.

Restaurare il penitenziario e dargli una nuova identità – obiettivo per il quale si è battuta per prima la onlus Associazione per Santo Stefano in Ventotene che da anni vi dedica convegni, eventi, idee, petizioni – non è solo un omaggio, pur dovuto, a un’opera architettonica straordinaria (vi spicca il perfido e autoritario “Panopticon”, il sistema di sorveglianza simultanea di tutti i detenuti da un unico punto sul quale affaccia il carcere a pianta semicircolare); è soprattutto la salvaguardia di un monumento alla memoria, un luogo che racchiude nella sua storia tutto ciò che non vorremmo più vedere: fu penitenziario borbonico destinato ai patrioti che si battevano per la libertà e l’indipendenza; ergastolo feroce dove i carcerati non avevano diritti, «una tomba dove sono sepolti uomini vivi», scrisse Luigi Settembrini che vi passò molti anni; poi luogo di reclusione per molti leader e militanti politici durante il fascismo, tra cui Pertini e Terracini; infine nel dopoguerra, prima della sua chiusura, laboratorio per un esperimento di detenzione più umana e civile con il direttore Eugenio Perucatti.

All’entusiasmo generato dal progetto Renzi seguirono, ahimè, altri anni di stasi e di inazione: le stradine di accesso si riempivano di erbacce, l’edificio crollava, furono perfino sospese le visite curate da una guida appassionata, Salvatore Schiano.

La svolta si è avuta solo nel 2020 con la nomina di Silvia Costa a commissario straordinario per il recupero dell’ex carcere. E tutto si è messo in moto, con risultati inimmaginabili. L’elenco è lungo, non si può che sintetizzare: impegnata un terzo della somma stanziata nel 2016; avviati i lavori di messa in sicurezza e di restauro; aggiudicato il concorso internazionale per il progetto di fattibilità tecnico-economica; sottoscritto l’accordo per dare vita a una Fondazione di partecipazione tra governo ed enti locali interessati; presentati i progetti per il nuovo approdo all’isolotto e per un percorso museale dentro le mura dell’ex carcere; sottoscritti 23 partenariati con enti locali, università, associazioni, archivi; istituito il Centro internazionale di studi sulla pena.

Finalmente si correva. Ma nel gennaio scorso, allo scadere del terzo anno di mandato, il ministro Gennaro Sangiuliano ha deciso di sostituire Silvia Costa, nominata dal suo predecessore Dario Franceschini, con un generale della finanza in pensione, Giovanni Maria Macioce. E tutto si è fermato. Anche perché Macioce è incappato in una brutta vicenda di abusi edilizi ed è stato rinviato a giudizio. Nomina impossibile, tutto da rifare.

Da allora, però, silenzio. Bisognerebbe invece correre ai ripari, e rapidamente, come ha appena chiesto un gruppo di università, centri di ricerca e associazioni, partners del progetto, in una lettera-appello al governo. Scegliendo una nuova o un nuovo commissario che prosegua nel solco già tracciato, creda nel progetto, lo arricchisca e non lo ostacoli, acceleri e non freni. E riconvocando il tavolo istituzionale al quale siedono tutte le amministrazioni competenti, che nell’ultimo anno non si è più riunito. Non si possono buttare via anni di lavoro e di passione, disperdere valori per i quali migliaia di persone hanno dato la vita. Non si può logorare la memoria.

Bruno Manfellotto

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