Dobbiamo mantenere la testa fredda e il cuore caldo” diceva una settimana fa Giorgia Meloni alla convention del suo partito. Lei ci prova ma è una fatica quasi improba quando il dossier che ti ha portato alla vittoria un anno fa – l’immigrazione – è la quotidiana dimostrazione plastica del tuo fallimento politico e programmatico.

E quando il tuo principale alleato, la Lega, si fa saltare i nervi un giorno sì e l’altro pure. Quando i giornali – e anche i telegiornali – al di là della vicinanza politica alla premier sono costretti a mostrare le immagini di una maggioranza spaccata in due: da una parte Meloni a Lampedusa con Ursula von der Leyen a rischio di contestazioni (“basta passerelle”) e dall’altra, a Pontida, Salvini e Marine Le Pen. Da una parte l’Europa. Dall’altra l’anti Europa.

Ecco che qualcuno dei presenti nel Consiglio dei Ministri di ieri è rimasto perplesso dalla lunga premessa della premier prima di approvare alcuni provvedimenti che “avranno un alto impatto nella gestione dei flussi migratori” e di volare a New York dove parteciperà alla sua prima Assemblea generale delle Nazioni Unite. La perplessità nasce dal fatto che, da quanto è filtrato in maniera ufficiosa, la premier è sembrata dare una versione dei fatti lontana dal mondo reale.

Ha ringraziato il governo “per la compattezza e per il grande lavoro di squadra nel fronteggiare questa emergenza”. Ma sono giorni che Salvini invoca “la chiusura dei porti, l’unico rimedio (che poi è il suo, ndr) che ha funzionato”, evoca complotti contro l’Italia finanche a sostenere che “la Tunisia ha dichiarato guerra all’Italia”. Non sembra la “compattezza” di cui parla la premier visto poi che l’accordo con la Tunisia è, per Meloni, “il modello di riferimento per bloccare le partenze dall’Africa”.

Con i ministri Meloni avrebbe rivendicato che “la serietà e la credibilità di questo governo hanno fatto sì che, a differenza di quello che accadeva in passato, la Commissione Europea e buona parte delle Nazioni europee si sono schierate sulle stesse posizioni italiane”.

Peccato che il Piano in dieci punti presentato a Lampedusa dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sia una lista di buone intenzioni destinate a risolvere molto poco nel breve periodo. Anzi: quando al primo punto e al numero 4 si dice che l’agenzia Frontex e l’agenzia per l’asilo aiuteranno l’Italia nelle identificazioni di chi sbarca in Italia, significa che l’Italia dovrà identificare tutti coloro che sbarcano restando prigionieri delle regole di Dublino. Ma anche i muri sanno che al momento l’Italia lascia andare una media di quattro migranti su dieci che poi raggiungono con mezzi di fortuna gli altri paesi europei. Il paradosso è che quindi le presenze di immigrati aumenteranno. Almeno nel breve periodo.

Una premier tesa, arrabbiata, ostaggio della sua stessa maggioranza, sconfitta dalle sue stesse promesse. Una premier che non si dà per vinta. Ma invece di ammettere che è tutto molto difficile – perché lo è – e che si cerca di fare il possibile, ha deciso di alzare l’asticella e di spostarla a destra. Si tratta di due mosse con un doppio obiettivo: ottenere qualche risultato nell’immediato in attesa che l’Europa riesca realmente ad interagire con i paesi di partenza per limitare il traffico illegale di migranti; riuscire a farlo senza Salvini. Anzi, a prescindere da Salvini. Il problema è che anche queste mosse potrebbero rivelarsi carta straccia.

Il Consiglio dei Ministri ha deciso di inserire le misure nel decreto sulle periferie e contro le baby gang (dl Caivano). La prima prevede di portare a 18 mesi il limite massimo (previsto dalla normativa europea) di trattenimento dei clandestini e di chi non ha diritto all’asilo all’interno dei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Diciotto mesi sono, secondo palazzo Chigi, “il tempo necessario per fare gli accertamenti necessari sulle richieste di asilo e per procedere con il rimpatrio”. Ma rimpatri con chi se non ci sono gli accordi?

L’altra misura di grande impatto decisa dal Cdm è che questi tempi “saranno effettivi perché costruiremo Cpr più grandi, in ogni regione e per chiunque sbarchi illegalmente in Italia, richiedenti asilo compresi”. Non sarà facile ergere dal nulla aree attrezzate con container e sorvegliate a vista per cui serve comunque l’autorizzazione del sindaco. E per quanto la premier abbia messo le mani avanti (“saranno realizzati in località a bassissima densità abitativa senza disagio per i cittadini”), è facile ricordare il caso del Cara di Mineo, in Sicilia. Chiuso dieci anni fa dicendo: “Mai più”.

Tutto questo potrebbe essere musica per le orecchie di Salvini. Ma Meloni ci ha messo una buona dose di quella perfidia tutta femminile e ha affidato al ministero della Difesa la realizzazione della nuova fase delle politiche migratorie. Sottraendola, quindi, all’Interno e alla longa manu di Salvini. Sempre che non diventi una Caporetto per tutti.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.