Lo scatto di Meloni in Europa sui migranti. Strappo con Visegrad

Gli indizi sono buoni e conviene dirlo subito: in politica estera il governo Meloni sta dando il meglio di sè (posto che il resto non arriva alla sufficienza). L’ultima settimana, che avrà domani a Tunisi un nuovo passaggio importante, ne è un buon esempio. Mentre il Presidente della Repubblica metteva cerotti sui numerosi autogol compiuti in questi mesi con la Francia – il caloroso e complice abbraccio di Mattarella con Macron davanti alla sagoma del Louvre è un’immagine potente – la premier si è mossa individualmente e senza risparmiarsi sul dossier più difficile: l’immigrazione.

Seguendo due linee: lei è andata o ha ricevuto a palazzo Chigi i leader dei due paesi – Tunisia e Libia – che con le loro fragilità interne stanno favorendo partenze massicce di migranti (sbarchi a +156% in questa prima parte dell’anno), ha curato cioè i confini esterni (la cosiddetta “Dimensione esterna”) dell’Italia e dell’Europa perché «le migrazioni vanno regolate alle partenze e non agli arrivi». Contemporaneamente la lenta e impacciata Europa doveva definire questa settimana l’ennesima puntata sul Piano Immigrazione e asilo: superare Dublino, garantire le redistribuzioni, tra obbligo e solidarietà, trovare una soluzione ai rimpatri di chi non ha diritto di restare, organizzare canali di ingresso regolari per coprire la forte richiesta di mano d’opera.
È dal 2013 che l’Europa prova a dare una svolta ma i veti incrociati hanno sempre impedito anche solo tentativi di via d’uscita.

L’Italia giocava una partita molto delicata: un governo di destra alleato però in Europa con Polonia, Ungheria e gli altri paesi sovranisti del gruppo Visegrad che da sempre intendono la soluzione del problema solo alzando muri. Con un doppio colpo di reni, forse bluffando o forse no, Meloni ha avuto il coraggio di non seguire i suoi alleati europei, ha tenuto il punto e ha strappato un accordo di massima tra la maggior parte dei 27 che per la prima volta sembra muoversi nella giusta direzione. Certo il cammino è ancora lungo e i tempi non sono immediati per vedere la svolta proposta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen con il suo Piano immigrazione e asilo.

I prossimi sei mesi, con la presidenza spagnola, paese di confine marittimo europeo che vive come l’Italia il pressing migratorio, dovranno definire e rendere operative le decisioni. Se proviamo ad osservare dall’alto, aver ufficializzato che il Mediterraneo è il confine europeo, portare Tunisia e Libia ad essere the main dossier a Bruxelles (domenica Meloni va a Tunisi con Von der Leyen e Rutte a garantire l’arrivo di soldi, cosa che non sta facendo il Fondo monetario internazionale), aver fatto blocco con la maggioranza dei paesi Ue per rivedere le regole dell’asilo e del soggiorno (ed aver mollato al proprio destino gli alleati storici) sono le tre cose migliori che Giorgia Meloni potesse fare. Quasi che avesse ascoltato, almeno in parte, la lunga e sempre profonda intervista che l’ex premier e presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato ha rilasciato a Repubblica: «Meloni rinunci ad una deriva anti Ue e rompa con Orban».

Il testo di compromesso sul Patto Immigrazione e asilo approvato giovedì sera dai ministri dell’Interno dei 27 (tranne quattro) ha due registi principali: la presidente di turno svedese del Consiglio, Maria Malmer Stenergard e la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. Due donne, bello sottolinearlo. Il ministro dell’Interno italiano ha il merito di aver fatto accettare una lunga serie di modifiche rispetto al testo iniziale. «Prima di tutto – come ha spiegato Matteo Piantedosi – l’Italia ha visto riconoscere gli accordi di rimpatrio con i paesi terzi (che tutelano i diritti civili) e ha evitato che qualche paese europeo se la potesse cavare dando soldi ai paesi di primo arrivo per gestire i migranti. Noi non saremo mai il campo profughi del fronte sud dell’Europa».Il testo approvato costituisce la posizione comune del Consiglio Ue che ora dovrà negoziare con il Parlamento europeo per arrivare al testo definitivo dei due nuovi regolamenti, uno sulle procedure d’asilo (Apr) e l’altro sulla gestione dell’asilo e dell’immigrazione (Ammr).

In estrema sintesi, viene istituito innanzitutto un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” per cui gli Stati membri dovranno scegliere se accettare di ricollocare sul loro territorio una quota di richiedenti asilo (diversa per ogni paese a seconda del Pil e della popolazione) arrivati nei paesi di primo ingresso, o se invece fornire un contributo finanziario pari a 20.000 euro per ogni migrante previsto e non ricollocato. I soldi non andranno ai paesi di primo ingresso ma in un fondo comune Ue che curerà accordi e investimenti con i paesi di origine e di transito dei migranti. Il secondo punto chiave riguarda la stretta dei controlli alle frontiere esterne.

I paesi di primo ingresso dovranno registrare entro 24 ore tutti i migranti irregolari in arrivo, e avranno poi 12 settimane per le procedure di concessione dell’asilo e altre 12 settimane per attuare i rimpatri dei migranti respinti. Come farà l’Italia a rispettare questi tempi, non è dato sapere. E questo è il buco nero dell’accordo. Insieme con i paesi terzi ed extra Ue che si faranno carico, pagati, di prendere in carico i migranti. Tante Turchie a sud del Mediterraneo. Si può fare di meglio. Ma da qualche parte occorre iniziare.