La Tunisia nell’ormai lontano 2011 era stata la culla delle Primavere Arabe che sembravano poter cambiare tutta una serie di paesi. La cacciata dell’uomo forte di Tunisi Ben Ali, che per 30 anni aveva governato il paese maghrebino, aveva innescato una serie di rivolte in tutto il mondo arabo sconvolgendo un panorama geopolitico consolidato da decenni.

L’Egitto aveva detronizzato Hosni Mubarak, i libici, dietro a forti pressioni internazionali, avevano scatenato la guerra civile per abbattere il regime di Muammar Gheddafi e la Siria e lo Yemen erano finiti in una guerra civile che si trascina ancora oggi. Tutti esempio di successi effimeri e inconsistenti che avevano peggiorato la qualità della vita degli abitanti. Solo la Tunisia sembrava invece incamminarsi sulla via di una vera democratizzazione, ma proprio per questo motivo è forse una delle più grandi delusioni. Oggi il piccolo stato affacciato sul Mediterraneo è governato in maniera dispotica da un presidente autoritario, la sua economia è vicina al collasso e non ha nessuna prospettiva per il futuro del suo popolo.

Kais Saied, il presidente tunisino, ha vinto le elezioni nel 2019 puntando fortemente sull’antipolitica dopo che i suoi predecessori avevano deluso le aspettative nate nelle ormai lontane Primavere Arabe. Professore universitario, giurista, moderato e progressista sembrava la persona giusta per provare a far ripartire il paese, ma dal 2021 Saied ha accentrato su di sé tutti i poteri. Prima ha licenziato il governo, poi ha congelato parlamento e consiglio superiore della magistratura governando a colpi di decreti presidenziali. L’opposizione frammentata e litigiosa ha fatto fatica ad opporsi e quando ci ha provato è finita in prigione così come alcuni giornalisti. A dicembre 2022 la Tunisia è tornata al voto per rinnovare un parlamento che esisteva solo tecnicamente, ma ha partecipato al voto meno del 10% della popolazione e nessun partito di opposizione. Una situazione politica difficile, ma una situazione economica ancora più allarmante.

Tunisi è vicina al collasso finanziario e molto presto potrebbe non avere i soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti statali, comprese tutte le forze di sicurezza. Saied si è rivolto al Fondo Monetario Internazionale per ottenere 1,9 miliardi di dollari, ma senza adeguate riforme economiche questo prestito difficilmente verrà concesso. L’FMI chiede alla Tunisia di tagliare i sussidi statali e riformare la sua economia, due mosse che Saied non sembra intenzionato a fare soprattutto perché è il suo elettorato che beneficia di questi sussidi. Italia e Francia, consapevoli del pericolo di implosione dello stato arabo, stanno facendo grandi pressioni sul Fondo Monetario Internazionale per la concessione del prestito, ma sembra improbabile che senza riforme i soldi possano arrivare.

Saied ha minacciato chiunque voglia imporre delle regole al suo paese ed ha aperto la possibilità di guardare altrove per puntellare il suo traballante governo. Il presidente tunisino ha infatti aperto al possibile avvicinamento del suo paese al gruppo BRICS, composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, che potrebbe concedere il prestito senza le garanzie richiesta dal Fondo Monetario Internazionale. La Cina è molto interessata ad ampliare la Road and Belt africana, la nuova Via della Seta, e una sponda nel Mediterraneo fa gola a Pechino che potrebbe aumentare così la sua pressione sull’Europa

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi