È stato presentato in questi giorni al Festival di Cannes “Megalopolis”, l’ultima pellicola di Francis Ford Coppola, autore di titoli immortali come “Il Padrino” e “Apocalypse now”. Racconto di un utopico architetto newyorchese (Adam Driver) che vuole ricostruire la città distrutta da un cataclisma, ma che si scontra con un sindaco corrotto (Giancarlo Esposito) e un magnate spregiudicato (Jon Voight). Non vi è ancora una data di distribuzione del film. Toccherà dunque attendere per vedere come si dipanerà la storia sugli schermi, ma la trama potrebbe risuonare familiare leggendo le notizie di questi giorni.

Infrastrutture, politica, uomini d’affari: qualcosa di già visto. Più che un film, si è però davanti a un episodio di una serie lunghissima, di quelle che andando avanti nel tempo perdono forza, in cui la scrittura si fa confusa, i personaggi si sfumano. Sul caso Liguria si cominciano difatti a mescolare le acque, a infilare nelle cronache elementi che vanno oltre le mere questioni giudiziarie. Il focus si sta spostando dai dettagli più pruriginosi (i regali, le barche di lusso, le fiches dei casinò) a questionare la necessità di grandi opere, come la nuova diga del porto di Genova. Le indagini, come si è soliti dire, faranno il proprio corso. Tuttavia, si rischia un altro colpo inferto alla necessità che il Paese progredisca anche attraverso le infrastrutture. Più che un film, servirebbe uno scatto fotografico che immortali il momento esatto in cui si è persa la fiducia nel progresso che queste rappresentano: quando da opportunità sono diventate minaccia, da strumento di benessere sono assurte a esempio del malaffare. Il tutto, ovviamente, prima che vengano realizzate.

Oggi ad esempio sarebbe difficile trovare un detrattore dell’alta velocità Torino-Salerno. Tutti salgono sui treni a 300 all’ora: politici di destra e sinistra, giovani e anziani, sindacalisti e uomini d’affari. Eppure, quante proteste, quanti sit-in, quante interrogazioni parlamentari o esposti in Procura. Così come per il MOSE: mastodontica opera che si voleva fermare a suon di inchieste, ma lo si vada a raccontare ai veneziani che oggi fi nalmente vivono una città all’asciutto. Per fortuna, in silenzio l’Italia va avanti. Come forse mai negli ultimi anni si stanno realizzando le infrastrutture per affrontare le sfi de del domani, in un quadro in cui l’Unione Europea investe sui cosiddetti corridoi delle reti trans-europee dei trasporti (TEN-T). Dei nove teorizzati da Bruxelles, ben quattro passano per il nostro Paese. Lungo di essi si lavora per sviluppare strade, ferrovie, porti.

Uno dei progetti simbolo di questa visione è il Terzo Valico, che collegherà proprio Genova al resto d’Europa (e Milano in un’ora), con un costo stimato di 9,4 miliardi di Euro. In tema di collegamenti transfrontalieri, nonostante continuino gli assalti ai cantieri (che i media neanche più riportano), non si fermano i lavori della TAV Torino-Lione per 8,3 miliardi, di cui quasi 3 di competenza italiana, mentre la nuova galleria del Brennero è valutata in 10,5 miliardi divisi con l’Austria. Scendendo verso Sud, dove il divario infrastrutturale è più netto, Napoli e Bari saranno unite con l’alta velocità dal 2026 grazie a circa 6 miliardi di Euro. Sono poi da poco iniziati i lavori di velocizzazione della ferrovia da Salerno a Reggio Calabria, il cui primo tratto costerà 1,8 miliardi. Nel mentre, in Sicilia fervono i lavori per l’alta capacità Palermo-Catania-Messina, che cambierà la mobilità nell’isola per 11,2 miliardi di Euro. Rivoluzione che rischia di essere inutile senza un collegamento con la terraferma: quel Ponte sullo Stretto che rappresenta la madre di tutte le battaglie per cambiare il modo in cui ormai tanti cittadini guardano alle grandi opere.

L’elenco appena stilato non è esaustivo, lascia fuori metropolitane e tram, strade e autostrade, porti. Lavori per un Paese fragile, complesso, ma che non si può permettere di fermarsi. Infrastrutture che non dovrebbero avere colore politico, e che non dovrebbero essere mischiate alle cronache volte a demolire il maggiorente partitico di turno. È un tema di bene comune, che va di pari passo col garantismo che si deve verso tutti i cittadini: un’utopia degna del miglior film di Coppola

Roberto Calise

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