La notizia dell’inchiesta su Giovanni Toti è stata accolta con grande fervore dalla folta schiera di giustizialisti nostrani. Manettari che non vedevano l’ora di impugnare nuovamente i forconi ed esporre l’indagato al pubblico ludibrio, ovviamente invocando le sue dimissioni. Ma a rincuorare è la parallela presenza di chi non intende partecipare alla gogna mediatica e non fa altro che lasciarsi guidare dalla Costituzione che afferma un sacrosanto principio: l’imputato non è colpevole fino al terzo grado di giudizio.

Chiamasi presunzione di innocenza, da molti bistrattata e vista come una considerazione di cui tutto sommato si può fare a meno. Però c’è uno gremito schieramento – dagli avvocati ai politici – che non vuole arrendersi alla dilagante deriva giustizialista e ha affidato al Riformista la sua voce per affermare a chiare lettere che il governatore della Regione Liguria non deve fare alcun passo indietro. A partire da due profili autorevoli.

Come quello di Raffaele Marino, ex sostituto procuratore generale di Napoli, secondo cui il principio di indipendenza tra scelte di natura politica e gli effetti di provvedimenti giudiziari «va affermato sempre, tanto più se in fase cautelare». In ogni caso, aggiunge Marino, «il problema sta a monte nella selezione del personale politico che l’attuale legge riserva ai maggiorenti all’interno dei partiti senza che l’elettore possa esprimersi in merito». Per l’avvocato Angelo Pisani, presidente dell’associazione Noi Consumatori, «sono da rispedire al mittente le richieste di dimissioni» mentre bisogna sperare in un «veloce e trasparente accertamento degli addebiti e giusto processo senza condannare anzi tempo un innocente».

Quello di Pisani è un monito netto: «I princìpi di garanzia non possono auspicarsi solo per gli indagati di sinistra ma, fino a prova contraria, devono valere per tutti. Anche a tutela dei princìpi costituzionali e saggezza e serietà dei padri costituenti». A far sentire la propria voce è anche l’ala moderata del centrodestra. Raffaele Nevi, portavoce nazionale di Forza Italia, reputa le dimissioni come una decisione personale dell’interessato e non come una richiesta da agitare sulla base di un’inchiesta: «Questo è un principio inderogabile che per noi rimane invalicabile. Suffragato anche dalle troppe volte a cui abbiamo assistito a clamorose inchieste, anche con carcerazione preventiva, che si sono risolte con assoluzione piena. Questa tendenza alla lapidazione pubblica non ci è mai piaciuta e vale per tutti e quindi certamente anche per Toti».

Sulla stessa linea Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, che invita a imparare dal passato prima di giungere a decisioni affrettate: «Siamo ancora nella fase delle indagini ed è giusto aspettare il processo. Ricordiamo i casi di Del Turco e Pittella, o anche del sindaco di Lodi, tutti assolti». Raffaella Paita di Italia Viva rivendica le motivazioni che la portano all’opposizione politica di Toti ma allo stesso tempo non ne chiede le dimissioni, trattandosi appunto di piani differenti: «Sono scelte individuali. Penso che le persone siano innocenti fino al terzo grado di giudizio. Ho massimo rispetto per il lavoro della magistratura, ma non è mia abitudine combattere avversari politici con argomenti di carattere giudiziario».

Una posizione tutt’altro che scontata, visto che Paita fu avversaria dell’attuale governatore e non subì un trattamento garantista dagli avversari politici: «Chi ha incoronato Toti sono stati Cofferati e un’inchiesta giudiziaria sull’alluvione di Genova, da cui poi sono stata assolta in via definitiva. Da destra non sono stati garantisti ma io lo sarò con loro. Mi sarebbe piaciuto battere Toti sul piano politico, non sconfiggerlo sul piano giudiziario».

L’appello di Enrico Costa, deputato di Azione, è quello di muoversi con i piedi di piombo senza lasciare spazio a pulsioni forcaiole: «La politica non deve chiedere le dimissioni per un’inchiesta giudiziaria e la deve smettere di cercare di colpire l’avversario a suon di “sono garantista, ma”. Esiste il diritto di difesa. In Italia la prospettazione accusatoria viene confusa con la sentenza definitiva, ma non è così. Ci sono dei princìpi costituzionali da rispettare».

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