La giustizia del giorno dopo. Quella in cui, dopo il turbine di arresti come quello che ha colpito Giovanni Toti, spuntano come funghi dopo la pioggia nuovi nomi e nuove indagini. È un sistema comunicativo delle procure finalizzato ad arricchire e valorizzare la propria ipotesi accusatoria, l’inchiesta, e, perché no, anche la stessa persona dell’investigatore. Occorre avere ogni giorno un po’ di nutrimento per i giornalisti. Le comode rate della giustizia si nutrono del verbo “spunta”. Non dalle carte, nel frattempo depositate direttamente in edicola, ma dalle pieghe dell’inchiesta, dall’aria che si respira, dal detto e non detto degli investigatori. Non c’è nulla di più ipocrita della frase “il pm non conferma e non smentisce”, perché intanto “spunta” sempre qualcosa di nuovo che non avevamo letto il giorno prima dalla completezza dell’ordinanza di custodia cautelare.

Ansia e disgusto nell’opinione pubblica

Sono notizie uscite dalla bocca di qualcuno, se non siamo abituati a leggere il linguaggio dei segni o quello del corpo. E non sono casuali. Sono utili a produrre ansia e disgusto nell’opinione pubblica, cui si lascia intendere che ce ne è ancora, un infinito interminabile carico da novanta di malefatte. Il fine non è solo autocelebrativo, è più sottile. È quello di creare il vuoto intorno all’indagato, specie se è un personaggio politico di rilievo. La giustizia del giorno dopo serve a seminare il dubbio anche negli amici e soprattutto negli ambienti politici contigui, fino a determinare per esempio le dimissioni. Sicuramente la solitudine.

Gli specialisti di questa forma di comunicazione del giorno dopo sono stati nel passato i capitani coraggiosi che osarono chiamarsi pool delle Mani Pulite. E nel presente, gli investigatori dei processi di mafia, di cui è eroe incontrastato per la capacità comunicativa il procuratore Nicola Gratteri. Nel palazzo di giustizia di Milano degli anni novanta, quelli delle inchieste su tangentopoli, il criterio consisteva nell’affidare ai gradi più bassi degli investigatori la diffusione delle notizie che riguardavano indagati considerati “minori”.

Le comode rate di giustizia

Poi, su per li rami, passando per i diversi sostituti fino al capo massimo, quando si trattava di notizie come la prima informazione di garanzia a Bettino Craxi. Ed era un crescendo rossiniano. Si era detto “c’è questo” nei confronti di un determinato indagato, poi il giorno dopo si aggiungeva “ma c’è anche questo altro”. Un vero stillicidio che arricchiva di momento in momento la consistenza dell’accusa. E più il piatto si riempiva, più si allungavano le fiaccolate che chiedevano di poter “sognare” sulla pelle degli inquisiti. La storia ci dirà che molti di loro erano innocenti e saranno assolti, molti anni dopo. Ma la sapiente somministrazione delle comode rate di giustizia aveva ormai avvelenato i pozzi. Tanto che nessuno si indignò il giorno in cui si venne a sapere che, quando un piccolo imprenditore impaurito come tutti in quei giorni, aveva sentito il campanello al mattino, non si era trovato davanti le forze dell’ordine, ma i giornalisti che erano arrivati prima. E che pensavano di trovarlo già in manette.

Il goccia a goccia del pentito

È anche lo schema di certe inchieste di mafia. In questo caso la somministrazione controllata e rateale della notizia avviene attraverso l’uso sapiente delle testimonianze dei “pentiti”. Anche se la legge sui collaboratori di giustizia stabilisce in modo perentorio che chi intende parlare deve vuotare il sacco in un sol colpo, la realtà è ben diversa. Il goccia a goccia delle parole del “pentito” e la loro esondazione fuori dalle mura del carcere fino a planare sui taccuini o i tablet dei cronisti, serve a moltiplicare per mille il peso specifico dell’accusa.

Ogni volta in cui, per esempio, intervengono i tribunali del riesame o la cassazione a revocare o modificare le misure di custodia cautelare, “spunta” un nuovo “pentito”, oppure uno che ha già parlato, ma che aveva dimenticato giusto quella parolina destinata a incastrare di nuovo il malcapitato. È un gioco di specchi infinito. E temiamo che non sarà sufficiente il divieto di pubblicazione delle ordinanze. Sarebbe sicuramente un passo importante quanto meno per evitare il tracimare delle intercettazioni, spesso male interpretate o travisate nella trascrizione, o comunque prive dell’intonazione del linguaggio parlato.

Tutto fa brodo

Ma non eviterebbe il mercato nero della giustizia e dell’informazione. Per esempio ieri, nell’inchiesta che riguarda il governatore Toti, è emersa dai soliti “ambienti” dell’investigazione, la notizia che la piaga della corruzione è molto più ampia e che, oltre ai venticinque indagati dell’ordinanza firmata dalla gip, ci sono altre dieci persone, si suppone imprenditori, che “potrebbero” aver finanziato qualche campagna elettorale del gruppo politico di Toti. E si getta nella mischia il nome di Paolo Piacenza, attuale commissario straordinario dell’Autorità di sistema portuale del mar ligure occidentale. In realtà è indagato per abuso d’ufficio e non per finanziamenti illeciti o corruzione. Ma tutto fa brodo, nella giustizia del giorno dopo. Con comode rate.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.