Fu indagato a ridosso delle elezioni del 2020, il Pd lo lasciò solo, rinunciò a ricandidarsi per la guida della regione Calabria. Fu assolto. Mario Oliverio conosce bene quella magistratura che piomba sulla politica, quasi sempre (coincidenze?) a poche settimane da una tornata elettorale con un arresto eccellente. Per intenderci, quello che finisce in prima pagina con foto gigante e titolo urlato. Titolo sussurrato, invece, quando quello stesso politico corrotto e fetente viene assolto. Coincidenze anche queste, per carità. Ora è toccato a Giovanni Toti, finito in manette a trenta giorni dal voto in Liguria.

Presidente, il Governatore Toti è solo l’ultimo esempio di una magistratura o orologeria che scombina il corso della politica. Qual è la sua idea?
«Non ho gli elementi per esprimere una valutazione di merito. Intendiamoci chiunque si macchi di reati gravi, deve risponderne. Starei però attento ad emettere sentenze sulla base di vulgate emotive e gogne mediatiche. La storia di questi anni è lastricata da vicende giudiziarie che si sono concluse, in moltissimi casi, con sentenze di assoluzione. Queste storie dovrebbero far riflettere e certamente suggeriscono cautela e rispetto per le persone».

Assoluzioni che sono arrivate anche nel suo caso. Nel frattempo, da più parti chiedono già le dimissioni di Toti. Cosa ne pensa?
«Questo uso della politica e delle vicende giudiziarie non fa altro che alimentare una spirale che rende poco credibile la politica e che spesso contribuisce a screditare anche l’azione della magistratura».

Tempismo delle indagini: magistratura a orologeria o sfortunate coincidenze?
«Credo che esista un sistema malato che, indipendentemente dalle intenzioni del singolo magistrato, negli anni è intervenuto per alterare le vicende politiche. Le indagini della magistratura alla luce delle sentenze, non sulla base di un risentimento che non mi appartiene, spesso si rivelano non fondate sui fatti e non si traducono in condanne. Bisogna stare attenti a pronunciarsi, c’è sempre un principio costituzionale di non colpevolezza da tenere presente: vale la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. E invece c’è un sistema che dovrebbe essere oggetto di riflessione e di un’iniziativa legislativa tale da rimettere ognuno al proprio posto, bisogna ricondurre a un giusto equilibrio i poteri. Perché queste vicende cambiano il volto della politica. Io sono stato oggetto di un provvedimento giudiziario, un obbligo di dimora, che mi ha impedito di esercitare la funzione per la quale ero stato eletto con il 63% delle preferenze. Il mio partito non mi ricandidò, anche se la Cassazione affermò che si trattava di un pregiudizio accusatorio da parte del Pm».

Lei crede che sia interesse del cittadino sapere che una persona è indagata, non condannata, indagata?
«È interesse del cittadino sapere che una persona è indagata, certamente, ma è anche dovere dell’informazione dire che quell’indagine non è una condanna, è un tentativo di portare alla luce un’attività pubblica. Oggi, invece, indagato vuol dire condannato. Esiste un meccanismo perverso tra uso della giustizia e dell’informazione che ha alimentato la gogna e distrutto le persone, prima ancora delle sentenze. Spesso di assoluzione».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.