Tra maxi blitz e tirate d’orecchie della Cassazione
Gratteri, ritratto del procuratore che voleva diventare ministro: il ‘moloch di Gerace’ che sogna di essere il Falcone di Calabria
Gratteri, il Pm dei blitz che sognava Via Arenula Ritratto del procuratore di Napoli che voleva diventare ministro della Giustizia, ora arresti e conferenze stampa da film americano sono solo un vecchio ricordo

Il nocciolino in gola a Nicola Gratteri si chiama ministro di giustizia. Quello che lui non è mai diventato. La sua nomina mancata del 2014, quando il premier incaricato Matteo Renzi si era invaghito di lui e lo aveva invitato a entrare nel suo governo. Lui ne era entusiasta, ma il Quirinale aveva seppellito la proposta sotto una montagna di ghiaccio. Poi, anni dopo, con la leggerezza di chi non ha capito nulla della caparbietà calabrese, il leader di Italia viva è andato a Report a presentare il suo libro e ha ammesso quel che il procuratore aveva sempre sospettato: a bloccare la sua ascesa al governo erano stati alcuni suoi colleghi, e in particolare Giuseppe Pignatone, il potente procuratore di Roma.
Il calabrese non ha perdonato. Forse non sarà proprio “il moloch di Gerace”, come lo descrive il suo grande antagonista in terra di Calabria Otello Lupacchini, alludendo alla sua città natale e anche a qualcosa d’altro, ma ai governi che si sono succeduti da allora, non ne ha perdonato una. La sua bestia nera è Marta Cartabia, e si può capirlo. Perché è stata la guardasigilli che ha reso applicabile anche in Italia la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Il provvedimento che ha imposto alla magistratura e alle forze dell’ordine di non presentare mai all’opinione pubblica l’indagato o l’imputato come già colpevole.
Non solo, ma ha limitato le conferenze stampa a situazioni rare ed emergenziali e ha vietato i nomignoli da attribuire alle inchieste. Per uno come il procuratore Gratteri, per il quale la comunicazione è l’aria che respira, soprattutto dopo i suoi clamorosi blitz, che descrive sempre come i più importanti del secolo, è come se gli avessero limato le unghie.
Nelle sue ultime apparizioni a Catanzaro, prima del trasferimento a Napoli, il magistrato aveva sfoderato tutto il suo sarcasmo. “Oggi abbiamo arrestato 60 presunti innocenti”, diceva ghignando. Ma mordeva il freno. Anche perché sapeva bene che nei giorni e nelle settimane successive il gip e poi il tribunale del riesame e infine la Cassazione quei sessanta fermi li avrebbero decimati.
Ma questo non lo ha mai seriamente preoccupato, perché il suo momento clou è un altro, è quello della maxi-operazione con pesca a strascico e poi la conferenza-stampa in cui esibire grandi numeri e soprattutto la ciliegina sulla torta, il politico, la famosa “area grigia” che tiene insieme la criminalità organizzata e il mondo delle istituzioni. La ciliegina che garantisce lo sbarco sui quotidiani nazionali e le prime pagine. Cui seguiranno interviste su giornali e tv accondiscendenti al “metodo Gratteri”. La ciliegina sarà poi quella destinata, nella gran parte dei casi, a venire staccata dalla torta, con l’archiviazione.
Un esempio tipico di questo meccanismo è quello che ha visto coinvolto Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, che si ritrova d’improvviso all’interno dell’operazione “Basso profilo”, in cui lui sarà indagato per mafia. Nella conferenza stampa Gratteri aveva tuonato contro il mondo politico, con la consueta immagine creativa. Qui, aveva detto, c’è la ‘ndrangheta che si traveste da imprenditore che va a bussare alla politica, la quale risponde e apre la porta.
Per quell’operazione che in seguito vedrà Cesa prosciolto, erano stati impiegati trecento poliziotti e dieci elicotteri. E per fortuna che si chiamava “Basso profilo”. Ma aveva avuto una significativa ricaduta politica, dal momento che il segretario dell’Udc con la sua piccola truppa di parlamentari stava dialogando con Giuseppe Conte, dopo la caduta del suo secondo governo, per un eventuale sostegno a un Conte ter. Che non vedrà mai la nascita, dopo le dimissioni di Cesa.
Il procuratore Gratteri come sempre dirà che, essendo lui disinteressato alla politica, non poteva prevedere gli effetti del suo intervento. Un po’ come quando ha stroncato la vita amministrativa e politica di Mario Oliviero, ex presidente della Regione Calabria, uomo del Pd e vittima della pavidità del suo partito, con inchieste così fragili da aver meritato robuste tirate d’orecchie della Cassazione. O le archiviazioni dell’ex presidente del consiglio regionale calabrese Domenico Tallini o di Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Sono tutte macchie sul suo peplo. Che lui non vede, perché sono ben celate sotto la sua popolarità, i suoi 23 libri con cui ha girato la Calabria e i messaggi che lui ritiene di dover dare alla popolazione.
Che importa di quel che dicono quei parrucconi della Cassazione, che hanno osato criticare persino sul caso dell’avvocato Giancarlo Pittelli? Importante è che sulla strada che porta a Lametia ci sia una freccia, di quelle ufficiali dei comuni, che indica il cammino verso la sua maxi-aula dove si è celebrato il primo grado del processo Rinascita Scott, con oltre 300 imputati, di cui non più dei due terzi è stato condannato.
È il processo che avrebbe dovuto incoronarlo come il Falcone di Calabria. Questo si aspetta la gente. Ed evidentemente anche il Csm, che lo ha promosso come procuratore di Napoli. Dove a quanto pare lo schema blitz-conferenza stampa funziona un po’ meno. Tanto che il “moloch di Gerace” ha dovuto inventare l’esistenza di 20.000 cellulari attivi nelle mani dei detenuti, notizia del tutto infondata (il Dap ha fatto sapere che nel 2023 ne sono stati trovati 3.600), ma il titolone sul giornale è assicurato. A proposito, l’ultima relazione della Dia riferisce che la ‘ndrangheta gode tuttora di grande salute. Nonostante il passaggio di colui che al momento dell’insediamento nel 2016 aveva promesso che avrebbe smontato la Calabria come un lego.
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