«Io non condivido la grandissima maggioranza delle cose che ha detto Berlusconi, però Berlusconi una volta ha detto una cosa giusta, che ai magistrati bisognerebbe fare i test psicoattitudinali»: Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, cinque anni fa non aveva dubbi. Quello dei magistrati – raccontava a Massimo Giannini, che lo intervistava da Radio Capital – «è un lavoro molto logorante: ogni cinque anni in modo anonimo ci dovrebbero sottoporre ai test».
Cinque anni dopo, però, non la pensa proprio allo stesso modo: «Sono contrario se è limitato ai magistrati – dice ai microfoni del Tg1 -, se serve per avere una maggiore sicurezza ed efficienza, allora facciamolo per tutti i vertici della pubblica amministrazione, anche per chi fa politica. E facciamo anche i narcotest, perché una persona sotto l’effetto di stupefacenti può fare ragionamenti sbagliati o può essere ricattato se, ad esempio, viene o è stato fotografato vicino alla cocaina».

Il gioco delle parti

Che cosa direbbe un test psicoattitudinale sull’equilibrio di un magistrato che si esprime in maniera così dissonante sullo stesso tema? Prima sostenendone la necessità imprescindibile, in ragione dello stress professionale, poi rispedendo i test al mittente politico con una provocazione sarcastica. Il non detto di questo teatrino è il gioco delle parti che si è instaurato tra il potente procuratore di Napoli e il governo, con una complicità sotterranea che non può sfuggire. Perché il conflitto offre a Gratteri l’occasione di intestarsi una leadership della categoria, scavalcando la stessa associazione nazionale dei magistrati, e al guardasigilli Carlo Nordio, che lo legittima rispondendogli, di dimostrare che questo governo non teme il ricatto della corporazione delle toghe.

L’irrilevanza dei test

In realtà c’è un non detto, che Giandomenico Caiazza ha già avuto modo di segnalare su queste colonne. I test, in quanto controllo formale all’accesso, sono del tutto irrilevanti rispetto all’obiettivo di guarire una giustizia malata. Ma sono anche uno specchietto per le allodole per coprire la totale inazione riformatrice sulla vera patologia del sistema magistratuale. Che riguarda la totale assenza di una qualche forma di responsabilità. Quelle civile è esclusa dal nostro sistema. Quella disciplinare si rivela quasi sempre una farsa nelle mani di un Csm corporativo. Quella professionale, cioè legata al merito e alla fondatezza dei provvedimenti adottati da pm e giudici, era stata prescritta dalla riforma Cartabia, e al nuovo governo toccava di definirne l’attuazione. Ma, sotto la pressione della magistratura associata, il governo l’ha svuotata di significato, sostituendo alla valutazione di «tutti i provvedimenti» quella di «provvedimenti a campione».

Ciò non impedirà a un magistrato di scalare i vertici della carriera anche se ha collezionato una catena di flop giudiziari, che magari sono costati a tanti cittadini innocenti anni di processi dolorosi o di carcere. E non impedirà poi che, forte di questi «successi professionali», quel magistrato possa arringare la folla mediatica sfidando i governanti a sottoporsi al narcotest. È il tic della Repubblica giudiziaria.

alessandro barbano

Nato a Lecce il 26 luglio 1961 è un giornalista, scrittore e docente italiano. È stato condirettore del Corriere dello Sport, editorialista di Huffington Post, conduttore della rassegna stampa di Radio radicale, Stampa e Regime, e curatore della rubrica di libri War room books sul sito romaincontra.it. Ha diretto per quasi sei anni il Mattino di Napoli (2012- 2018) e per cinque è stato vicedirettore del Messaggero. Laureato in giurisprudenza all'università di Bologna, giornalista professionista dal 1984, ha insegnato teoria e tecnica del linguaggio giornalistico, organizzazione del lavoro redazionale, sociologia delle comunicazioni di massa, retorica, linguaggi e stili del giornalismo, giornalismo politico ed economico all'Università La Sapienza di Roma, all'Università del Molise, alla Link University e all’Università Suor Orsola Benincasa. È autore di saggi dedicati al giornalismo e a temi di carattere politico e sociale: La Gogna (Marsilio 2023), L’inganno (Marsilio 2022), La visione (Mondadori 2020), Le dieci bugie (Mondadori 2019), Troppi diritti (Mondadori 2018), Dove andremo a finire (Einaudi 2011), Degenerazioni (Rubbettino 2007). Al giornalismo ha dedicato Professionisti del dubbio (Lupetti 1997), l’Italia dei giornali fotocopia (Franco Angeli 2003) e Manuale di giornalismo, (Laterza 2012). Presiede la Fondazione Campania dei Festival. Nominato dal Ministro dei Beni culturali, è componente del consiglio di indirizzo del Teatro di San Carlo e del museo di Palazzo Reale di Napoli. Dall'11 marzo 2024 è direttore del Riformista.