C’è una levata di scudi del mondo della giustizia contro la proposta delle prove attitudinali sugli aspiranti magistrati. Fa pendant con l’altra proposta che, ai fini degli avanzamenti di carriera, conti il curriculum personale, conti cioè il dettaglio dei risultati conseguiti nelle funzioni assunte, conti insomma che si stili quella che potremmo definire una pagella di merito. Sulle due questioni l’Associazione Nazionale Magistrati ha tuonato forte. Sarà pure sciancata in tante correnti “belligeranti”, ma sa compattarsi a pigna di fronte ai presunti attacchi esterni; così facendo, si manifesta però casta che si ritiene intoccabile e assisa alla destra del Padre, alimenta l’idea che mettere le mani sul sistema, sulla sua rocciosa immutabilità, è lo stesso che metterle sui fili dell’alta tensione, dimenticando che legiferare compete al Parlamento nella sua indipendenza e l’applicazione delle leggi, piacciano o non piacciono, alla magistratura.

Ha tuonato più forte ancora il Procuratore di Napoli che è passato dalla polemica sul rapper Geolier ospite nella Federico II di Napoli – il dr Gratteri è ormai prezzemolo di ogni minestra, sa dell’intero scibile umano, c’è tanto da imparare da lui – a quella ormai antica sulla separazione delle carriere tra Pm e giudicanti, per planare infine sul dogma, a cui credere per fede, né più né meno che alla verginità della Madonna, che allora bisognerebbe allargare le prove attitudinali a ogni categoria con ruoli dirigenziali. Più che una richiesta, sulla quale peraltro si potrebbe anche essere d’accordo, è stata una provocazione, è stato un attacco frontale al Governo. «Test ai giudici? – ha detto il procuratore – Allora anche per chi governa , e aggiungiamo narco e alcol test».

Il Procuratore non la pensa così, occorre farsene una ragione. Solo che le prove attitudinali successive al concorso superato appaiono un presidio di garanzia, una necessità inderogabile a fronte di un apparato che da qualche decennio scricchiola, che ha le manette troppo facili, che ha un’incidenza di errori giudiziari che, al riscontro dei tre gradi processuali, supera il 50% – e percentuali di tale portata non possono essere considerate fisiologiche e inevitabili. Non è chiaro inoltre dove sia il nocumento che deriverebbe dal sottoporre a valutazioni in più dalle quali verificare se i candidati abbiano, oltre alla conoscenza approfondita dei codici che è loro valso il superamento delle prove d’esame, anche la personalità e le doti pertinenti – come equilibrio, maturità, dirittura morale, solidità di carattere, senso del dovere e della missione – indispensabili in chi è destinato a incarichi delicati e di grande responsabilità, in grado di orientare destini, di decidere vite. Appare piuttosto che l’ulteriore selezione porterebbe vantaggi su tutti i fronti, a cominciare da quello della Giustizia stessa, che potrebbe contare su elementi affidabili e riacquistare la credibilità smarrita lungo la strada del tiro al bersaglio.

Sulla necessità che gli avanzamenti di carriera vengano attribuiti per merito è bene ricorrere ai numeri e mettere in evidenza come in Italia, in particolare in Calabria, terra di frontiera, a detti numeri non ci si affidi e le promozioni fioccano pure se il magistrato ha brillato quanto brilla una notte senza luna e con le stelle sottomesse al nuvolo, distinguendosi per innocenza maltrattata più che per l’efficienza, spesso avallata solo dalla pubblicità giornalistica compiacente. Infatti, fin dagli anni ’90, quasi tutte le imponenti operazioni di polizia effettuate contro la ’ndrangheta, e sbandierate sui media a pieni polmoni, al riscontro processuale si sono rivelate abbagli, se non bufale o favolette per i creduloni, e sventure che lasciano le stimmate addosso ai poveri cristi immolati, finiti nella tagliola senza avere colpe.

Alcuni dati significativi, di seguito anno-tati, dimostrano l’inconsistenza e/o la fragilità, di fatto l’insuccesso, nel contrasto alla mafia, perché, se è vero che in taluni casi la ’ndrangheta è stata colpita al cuore e si sono azzerate intere strutture delittuose, è altrettanto vero che nel contempo si sono abbattuti gli strali su una quantità intollerabile di personaggi in seguito risultati estranei ai fatti contestati e che hanno pagato con il carcere, con la gogna mediatica, con le carriere stroncate, con ferite che in alcuni non si sono rimarginate, con disagi che rimangono marchio a fuoco sulla pelle. Questo, mentre la carriera dell’autore del flop decollava, contando il clamore in uscita e non il dopo, quando le risultanze dei processi raccontano tutt’altra verità.

L’operazione “Crimine” ebbe 163 imputati, ristretti in carcere o ai domiciliari, la percentuale di assolti fu del 47,6%. La “Mari-ne” a Platì ebbe 215 tra arrestati e incrimi-nati, alla fine risultarono colpevoli in 8, il 3,7%. La “Stige”, con 187 imputati di cui 169 agli arresti, alla fine del primo grado ha riscontrato il 36,5% di innocenti. La “Stilaro”, con 103 imputati di cui 63 agli arresti, ha avuto 14 colpevoli appena, con una percentuale di assoluzioni pari all’83,4%. La “Circolo formato”, con 49 in carcere, ha una percentuale di assolti del 44,9%. La “Minotauro”, con 164 imputati di cui 144 in carcere, ha registrato il 44,4% di innocenti. L’operazione “Ada”, con 114 imputati di cui 65 in carcere, ha registrato il 62,3% di innocenti. La “Araba fenice”, con 64 imputati di cui 47 in carcere, ha registrato, dopo i processi abbreviati, un numero di innocenti superiore al 50%. Risultati simili per la “Gotha”, “Alchemia”, “Cumbertazione”, “Mandamento ionico”, e per tante altre. Su Rinascita Scott attendiamo i numeri finali, l’inizio non è stato molto promettente.

In molte di queste operazioni è protagonista il Procuratore Gratteri che, da aggiunto a Reggio Calabria, è stato promosso Procuratore della Repubblica di Catanzaro e di recente di Napoli. Ebbene, ci fosse stata la cartelletta con le annotazioni sul merito, la sua carriera sarebbe stata la stessa?