Il salto di qualità è firmato Nicola Gratteri. Il pretesto è il progetto dei test psico-attitudinali per i magistrati. Con il piglio aggressivo di chi sa di essere più autorevole della stessa ANM, prima Gratteri dice che i test andrebbero estesi ai politici, poi allude a narcotest cui andrebbe sottoposto in particolare “chi è stato fotografato vicino a della cocaina”. La prima Repubblica, si diceva, era “fondata sulla Resistenza”, quindi sull’esaltazione della politica democratica. La storia della Seconda è invece fondata sulla delegittimazione della politica. Un processo – parola dal significato doppiamente incisivo – durato tre decenni, e gestito da una parte della magistratura sostenuta dalla grande stampa e da protagonisti del Palazzo che pensavano di trarne beneficio. Ma questa operazione politica speciale, per dirla con Putin, aveva un punto fermo: l’appello alla piazza nel nome della sacralità della giustizia.

Non l’allusione obliqua a situazioni che sembrano richiamarsi a dossier contro un singolo politico. I predecessori del procuratore di Napoli non ci avevano proprio pensato. Mai. La rivoluzione per via giudiziario-mediatica puntava sul moralismo, non sui messaggi in codice della serie “se ti muovi, ti fulmino”. Quando, il 6 marzo 1993, il pool Mani Pulite si presenta in tv per intimare alla politica di ritirare il decreto Conso, che riduce le pene per il finanziamento illecito, parla direttamente al popolo vociante che già preparava le monetine. Oscar Luigi Scalfaro e il premier Giuliano Amato pochi giorni prima avevano sottoposto il decreto a Borrelli & Co per un loro via libera. Quindi ci mettono un minuto ad assecondare il cambio di linea. Ma non certo perché minacciati personalmente. E lo stesso accade un anno dopo con il decreto Biondi, che provocò le dimissioni del pool e la marcia indietro del governo Berlusconi.

Così nel 1998, quando il pm milanese Gherardo Colombo boccia il progetto giustizia della Bicamerale, definendo l’accordo “figlio di un ricatto”. I tempi stanno cambiando, quindi i partiti insorgono e il ministro Flick avvia un’azione disciplinare. Ma siamo sempre nel campo della magistratura che irrompe a piedi uniti nella politica e non nella vita privata dei politici. Una linea che trova la sua apoteosi nel leggendario “resistere, resistere, resistere” del Francesco Saverio Borrelli edizione 2002. Anche lì, come oggi Gratteri, il proclama mira a tutelare l’indipendenza dei giudici. Ma allora il capo supremo del Moralismo Giudiziario fa appello al bene collettivo di cui sente depositario. Non ad altro. Qualche anno dopo, non a caso, Armando Spataro spiegherà che “quella frase fu indirizzata a tutti gli italiani, contro il degrado in cui rischiava di finire il Paese”.

Magistrati come politici supplenti, al massimo come politici di carriera (vedi Di Pietro o D’Ambrosio). Non come 007 attorcigliati nei dossier. Il salto di qualità sarà anche un salto nel vuoto? Non si può dire. Il provvedimento del governo sui test psico-attitudinali non è un attacco a nessuno e non fa che allineare l’Italia all’Europa. Conta però il cambio di linguaggio che accompagna la reazione al presunto attacco. Servirebbe riflettere sui tre decenni di “rivoluzione” che ha rivoluzionato solo l’equilibrio dei poteri e l’autorevolezza della politica. Al punto che oggi un importante magistrato arriva a paragonare i test per funzionari pubblici a test per gli eletti dal popolo. Servirebbe ricordare le parole dei big di quell’epoca: “Mani pulite è stata un fallimento” (Gherardo Colombo), o il più articolato “devo chiedere scusa per il disastro seguito a Mani Pulite, non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per finire in quello attuale” (Francesco Saverio Borrelli).

Servirebbe riepilogare le perle di questa trentennale collana, dal famoso “non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti” (Piercamillo Davigo) ai meno conosciuti ma ancor più brillanti “non c’è bisogno di aspettare le sentenze, l’operazione grande bucato è già fatta” e “non li incarceriamo per farli parlare, ma li scarceriamo se parlano”, del mai abbastanza osannato Borrelli. È da questo cammino a ritroso che sarebbe utile partire. Il rischio, invece, è che l’avvertimento implicito del procuratore Gratteri preoccupi solo il singolo politico cui sembra alludere, senza che nessuno pensi che sia anche una lesione ancora più forte all’equilibrio fra le istituzioni su cui si regge una democrazia.

Sergio Talamo

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