Esteri
L’Ucraina, la Ue e le “montagne americane” della geopolitica
L’allargamento non è cosa da poco, si prefigge di trasformare gli Stati per loro volontà e calando lo spirito santo del buongoverno di Bruxelles
Sembrerà strano ma in un perverso gioco di parole e del destino, la lingua russa traduce le montagne russe, quelle del Luna Park, in “montagne americane”. Amerikanskiye gorki. È triste constatare che per l’Ucraina, l’America degli ultimi sei mesi è stata proprio questo: dall’umiliazione di Zelensky nell’Studio Ovale a febbraio alle volgarità di Trump di questa settimana con l’ammissione che Putin gli racconta, con un eufemismo, sciocchezze. Alti e bassi, accelerazioni e brusche frenate, tutte generalmente auto-inflitte, perché tutti sanno che Putin sono oltre vent’anni che dice sciocchezze.
Mentre Roma ospita la quarta Conferenza sulla Ripresa dell’Ucraina, appare evidente che l’unica àncora di stabilità per Kyiv è l’Europa. L’Europa, con tutte le sue contraddizioni e liturgie quasi vaticane, che però dopo anni di titubanze con l’Ucraina è stata molto chiara: dal 2022, ci siamo formalmente impegnati ad assicurarle un futuro nell’Unione. Nei grigi corridoi di Bruxelles, fu quello il punto più alto della cosiddetta “Europa geopolitica”. Quella geopolitica che qui in Italia assume connotazioni quasi sciamaniche, con narrazioni su stirpi ed etnie che plasmano i destini dei popoli. Geopolitica che in realtà è un termine anche molto caro ai russi.
Per loro geopolitica vuol dire occupare Kyiv in tre giorni, cosa che effettivamente fecero, per poi però rimanere impantanati da oltre tre anni. Vuol dire tramutare un petro-stato in un’economia di guerra per il solo gusto di avere ragione. Vuol dire la “verticale del potere”, altro termine caro all’intellighenzia del Cremlino, con la quale fare il bello e il cattivo tempo a casa loro e in quello che sempre loro chiamano “l’estero vicino”.
Per Bruxelles, la geopolitica è un organismo modificato geneticamente. La geopolitica è l’allargamento dell’Unione e l’allargamento è geopolitico. Perché si propone di contrastare la distruzione russa e il nichilismo della vita che, come scrisse Emmanuel Carrère, per loro non vale nulla, con la prosperità, la libertà e la pace europee. L’allargamento geopolitico non è cosa da tre giorni e nemmeno da tre anni; prefigge di trasformare gli Stati dal di dentro per loro volontà e dall’alto calando lo spirito santo del buongoverno di Bruxelles. È una geopolitica che si muove due passi avanti e uno indietro, a causa principalmente dell’Ungheria di Orban che blocca e ricatta ogni volta che può. Ed è una geopolitica lunga un decennio, il cui significato nessun altro al di fuori dell’Europa (e magari neanche dentro) sembra riconoscere.
Poi c’è la ricostruzione vera e propria, che anche a causa delle montagne russe americane sarà realisticamente sulle spalle di noi europei. Quantificata dalla Banca Mondiale in 524 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, questo è evidentemente uno sforzo che i governi europei da soli non si possono sobbarcare. La Conferenza di Roma lavorerà su un compact di istituzioni finanziarie, banche pubbliche d’investimento, parteniariati fra pubblici e privati che è da tempo l’unico modus operandi in questi contesti post-bellici. La vera domanda è se noi europei siamo pronti all’Ucraina. Al netto di proclami geopolitici, noi europei dobbiamo fare ammenda di promesse non mantenute e di tanti nodi ancora da sciogliere che hanno minato la nostra credibilità. E abbiamo un dovere morale prim’ancora che geopolitico di essere sinceri. I politici in visita questi giorni a Roma ricordino che sull’Ucraina bisogna cercare di essere statisti nel senso indicato da De Gasperi. Non guardino alle prossime elezioni ma alla prossima generazione di ucraini e di europei.
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