La domanda
Manager o politici: paradossalmente, vorresti avere chi voti a capo della tua azienda?
Se uno psicologo sente parlare di “bipolarismo” difficilmente pensa alla contrapposizione politica tra destra e sinistra, ma al disturbo bipolare, una seria condizione caratterizzata da periodi in cui si alternano fasi di depressione a euforia maniacale o ipomaniacale. Sia in politica sia in psicologia, il bipolarismo denota una contrapposizione tra due condizioni opposte e inconciliabili. Si tratta di una logica dell’“o da una parte, o dall’altra”, che oggi non si limita più alla politica, ma ha invaso quasi tutti gli spazi, tanto che numerosi autori hanno iniziato a studiare la manifestazione delle contraddizioni anche all’interno delle aziende. Nonostante le politiche riformiste e sindacali abbiano ridotto alcune delle contraddizioni sociali evidenziate da Marx, ne sono emerse di nuove. I manager moderni, la nuova classe sociale incaricata di mediare tra capitale e lavoratori, si trovano a dover affrontare obiettivi diametralmente opposti. Sviluppo economico o sostenibilità, velocità o robustezza, locale o globale: dicotomie che pongono i manager di fronte a scelte “paradossali”.
Nelle organizzazioni moderne, i paradossi sono ormai considerati un aspetto inevitabile della complessità organizzativa. Tuttavia, anche i manager più capaci tendono ad affrontarli con schematizzazioni dannose. Spesso rimangono intrappolati in un dualismo rigido, con risposte basate su semplificazioni eccessive e posizioni ideologiche ancorate al principio di coerenza con le scelte del passato. L’assolutismo impedisce di considerare altre opzioni e di integrare diverse prospettive. Se il secolo scorso era caratterizzato dalla logica de “o l’una o l’altra” (o-o), il nuovo secolo richiede un approccio “sia una sia l’altra” (sia-sia). Non è più sufficiente perseguire un solo obiettivo alla volta; è necessario soddisfare contemporaneamente molteplici obiettivi, spesso contrastanti.
Profitto, etica, salute, sicurezza, benessere, sostenibilità, tradizione, equità, appartenenza e inclusione sono tutti elementi da bilanciare e non da contrapporre. Le regole devono essere seguite, ma è anche essenziale pensare fuori dagli schemi, rispettare la tradizione ma promuovere l’innovazione, essere abili pianificatori pronti all’improvvisazione. Tutto in una frase: “damned if you do, damned if you don’t”. La cultura occidentale tende a vedere il paradosso come un problema da risolvere, mentre quella asiatica lo accetta come parte integrante della realtà. Abituati da millenni alla coesistenza di yin e yang, gli asiatici vedono le contraddizioni come permanenti e fonte di forza. In Occidente, invece, una contraddizione è percepita come un ostacolo eccezionale da superare.
Forse è per questo che le economie asiatiche si trovano molto più a loro agio in questo secolo paradossale. Nelle organizzazioni più avanzate, i manager compiono tutti i giorni un ennesimo salto di paradigma, integrando (sia-sia) obiettivi apparentemente o sostanzialmente contraddittori. Al contrario, la politica sembra rimanere bloccata in una logica “o-o”, lontana dalla necessaria evoluzione verso un approccio dove il paradosso non sia l’ostacolo ma il sostegno. Mentre misuriamo un buon manager per la sua capacità di gestire l’ambiguità e i paradossi, in politica siamo ancora, tristemente, affezionati a criteri di coerenza e contrapposizione. Forse, la persona che scegliamo come politico potrebbe non essere la stessa che vorremmo come capo nell’azienda dove lavoriamo. La vecchia domanda: “Compreresti una macchina da lui (o lei)?” andrebbe sostituita da: “Lo (o la) vorresti come tuo capo?”.
© Riproduzione riservata






