Con la fine delle vacanze estive e l’arrivo di settembre ognuno di noi si dà dei buoni propositi, nati magari sotto l’ombrellone o durante una camminata in montagna. Iscriversi in palestra e magari andarci almeno tre volte, imparare una nuova lingua anche se già azzeccare un congiuntivo sarebbe un grande traguardo, cambiare lavoro o uscire di casa più spesso. Tra questi, c’è un buon proposito che voglio condividere: dare meno etichette ai ragazzi di oggi.

Etichettare ci aiuta, semplifica, permette di descrivere fenomeni apparentemente difficili: ma se portato all’estremo diventa dannoso, perché chiude quadri colorati in un singolo pantone e non permette di vedere sfumature, tonalità, ombre e luci, e ci fa credere che tutto il disegno sia come quella singola parola che pensiamo lo descriva nel suo intero. Ma è sbagliato ridurre complessità come la Generazione Z in un’unica parola o in classificazioni fisse e ferme: mai c’era stata una generazione così sfumata, mai è stato così riduttivo ridurre tutto a dogmi e silos. Ecco alcuni miti da sfatare.

Boomer, Generazione Z, Millenials: i nomi delle generazioni sono una convenzione; se sei nato nel 2010 fai parte della GenZ, ma potresti essere più simile alla Generazione Alpha. Banalità, ma ricordarlo aiuta a relazionarsi meglio con loro: non è che tutti i nati dal 1997 al 2012 hanno necessariamente le stesse caratteristiche e sono tutti uguali, così come non tutti i Baby Boomer sono persone che scrollano il telefono con l’indice o non capiscono i meme. I nomi stessi con cui vengono identificate le singole generazioni sono poi tanti e diversi. Basti pensare che per la Generazione Z si parla anche di iGeneration, Zoomer, Centennial e tanti altri nomi: ci sono più nomi che correnti nel PD, ed esattamente come queste indicano tutti la stessa cosa ma mettono l’accento su una caratteristica piuttosto che un’altra.

Non tutta la Generazione Z è uguale: l’ipersemplificazione e la stereotipizzazione di questa generazione ci porta a sbagliare il modo con cui ci relazioniamo, la consideriamo, la trattiamo. Il passo in avanti da fare è quello di indagare e approfondire all’interno di questa generazione i valori davvero importanti, il modo in cui cerca di vivere alcune esperienze, il contesto in cui vive e studia o si affaccia al mondo del lavoro. Con un invito: focalizzandosi su cosa la rende simile a chi è più grande e non sulle differenze. È molto più semplice pensare che “i giovani non hanno voglia di lavorare”, ma molto più difficile ricordarsi che a 18 anni tutti noi uscivamo il sabato sera.

I giovani pensano solo ai balletti su TikTok. È la semplificazione più ricorrente, che chiunque ha pensato almeno una volta davanti a un sedicenne. Ma TikTok non è il “social dei balletti”. TikTok, così come anche Instagram, è il social in cui i ragazzi di oggi cercano (e spesso trovano) informazioni, approfondiscono temi di loro interesse, scoprono cose nuove e spesso studiano anche. Su social come questi la Generazione Z fa esattamente le stesse cose che i più grandi fanno su Google o Facebook, magari senza condividere buongiornissimi: si informano, condividono, raccontano esperienze e luoghi visitati, si collegano a community unite dai loro stessi interessi. Certo, ballano anche: è un problema? No, se si vede anche cosa c’è dietro.

I giovani non hanno problemi, mentre ai miei tempi… lo ha pensato chiunque abbia più di 35 anni. Ci sono però tanti studi e ricerche che evidenziano un serie di problemi che forse le generazioni precedenti non hanno mai affrontato: perché tabù o semplicemente perché non li hanno vissuti. La salute mentale, una difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo, un percorso scolastico poco vicino al mondo attuale, un mondo del lavoro dove il precariato regna indisturbato per i primi anni, una pandemia che li ha chiusi in casa e ha fatto saltare loro anni fondamentali per lo sviluppo della persona e tanti altri. Non trattiamo i ragazzi di oggi come scansafatiche senza problemi, ma piuttosto cerchiamo di capire cosa vivono e come possiamo supportarli.

Sono tutti Greta Thunberg. Vero, il cambiamento climatico e la cura per l’ambiente sono tra le battaglie più forti e sentite dai ragazzi di oggi. Ma ridurre questa battaglia a una semplice presa di posizione è sminuente, per loro e per la battaglia stessa: anzi, molti ragazzi sono pessimisti circa la reale possibilità che cambiamenti nei propri comportamenti possano portare davvero un impatto sul cambiamento climatico. Da una parte quindi c’è grande consapevolezza del problema, dall’altra un pessimismo disilluso: è qua che dobbiamo fare in modo che l’ottimismo vinca e che, insieme, si possano fare cambi e azioni che portino a un risultato concreto e stabile sul lungo periodo.

I giovani non hanno voglia di lavorare, e infatti in tanti abbandonano il posto di lavoro dopo pochi mesi. Vero, c’è stato il fenomeno del quite quitting che ha interessato maggiormente i più giovani: ma non riduciamolo a una loro mancanza di voglia di lavorare. L’abbandono di massa è motivato dall’assenza di condizioni di lavoro ritenute idonee e valide, di cura per la formazione e il benessere della persona sul lavoro, di prospettive di crescita certe e di trasparenza. La voglia di lavorare c’è e ci sono anche tanti esempi virtuosi: spesso, però, mancano le condizioni perché un ragazzo possa lavorare o si possa inserire nel mondo del lavoro senza essere sfruttato, poco rispettato e formato.

Ci sono poi tante altre etichette: la Generazione Z è oggi spesso dipinta come pessimista, poco resiliente, scarsamente interessata al guadagno, poco ambiziosa, guidata negli acquisti da motivi sempre etici e tanti tanti altri stereotipi. Il mio invito è di abbandonare quest’anno ogni descrizione semplicistica e di avere con i ragazzi una relazione sana. Basata quindi su meno etichette, meno semplificazioni, e trattandoli nella loro complessità, ascoltandoli e capendone esigenze e problemi, valori e desideri, difficoltà e punti di forza, talenti e capacità. E parlandone in maniera onesta, senza cercare vie brevi che disegnano un mondo forse più semplice da capire, ma sicuramente lontano da quello in cui vive oggi la Generazione Z.