Luci accese fino a tardi, a Palazzo Chigi, con trattative serrate tra gli alleati. Nel Documento programmatico di bilancio si legge che «le misure a carico del settore finanziario e assicurativo» valgono circa 4,4 miliardi: nei tre anni di previsione, dunque, oltre 11. Certo quando si alzano i prelievi sulle banche, qualcuno paga. La domanda rimbalza anche in maggioranza: «La pagano i risparmiatori». Appunto. In Italia gli utili bancari sono elastici, i conti correnti molto meno.

Contributi o tasse

Il governo prepara la manovra e nel frattempo canta a più voci, spesso fuori tempo. Antonio Tajani impugna il microfono per primo: «Le banche possono dare un contributo, concordato e non imposto». Traduzione: soldi sì, stangate no. Poi affina l’assolo fiscale: «Tagliare l’Irpef fino a 50 mila euro per tutti i redditi. L’ideale sarebbe 60 mila». Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha dato il suo assenso: «Il superammortamento è una buona via, aiuta le imprese». Intanto, il Mef manda il Documento programmatico di bilancio a Bruxelles e al Parlamento. La sostanza è che bisogna far quadrare i numeri: e quando i numeri non quadrano, si chiamano «contributi» e non «tasse». «Forza Italia non voterà alcuna tassa sugli extraprofitti», ha già avvertito Tajani. «Giusto prevedere un accordo fra governo e banche per un contributo, ma contro ogni imposizione autoritaria». Il lessico è da guerra fredda: «Concetto un po’ da Urss».

Salvini e Zaia

A nord-est, intanto, la Lega prova a ritrovare la voce dopo le stecche toscane. Matteo Salvini fa buon viso a cattivo gioco: «Sono contento: Luca Zaia guiderà le liste della Lega in tutto il Veneto a novembre e avremo un risultato straordinario». A scanso di equivoci sul famoso gelo tra i due, il leader ci tiene: «Con Zaia non abbiamo mai litigato, ci sentiamo la mattina commentando divertiti gli articoli dei giornali». Il leader della Lega, intervistato su chi consideri «un problema» Zaia, è zen: «Magari pensa a qualcuno che non ha voluto liste civiche, liste personali. Limitare la scelta è sempre un errore. Ci sarà il nome di Zaia in tutte le schede». Nel frattempo, dentro il Carroccio la faccenda Vannacci non è archiviata. Il generale divide, i big ammoniscono, Zaia alza la posta su nome e simbolo: «Se sono un problema, vedrò veramente di crearlo…». Martedì 21, Consiglio federale a Milano: lì si capirà se la Lega è un coro o un talent show.

Note stonate tra gli alleati

Non mancano note stonate anche tra gli alleati. Da Fratelli d’Italia, Luca De Carlo mette il broncio con stile british: «Avrei potuto vincere anch’io in Veneto? Grazie, gentili, oltre il danno la beffa». E però subito raddrizza la barra: «Sosterrò Stefani in campagna elettorale. È un amico. Io avrei fatto la stessa cosa che ha fatto Meloni: evitare di indebolire un alleato». Resta però «l’amaro in bocca». In radio, il senatore si toglie qualche sassolino: «Malagò non vuole farmi fare il sindaco di Roma perché lo vuole fare lui. Io non posso fare il governatore, troppi veti». Ma la chiusa è da Sanremo: «Gli dedico la canzone “Vincerò”». Il centrodestra più che a una coalizione, oggi somiglia a una playlist. Nel frattempo, l’aria si fa pesante sul versante politico-simbolico. Giorgia Meloni alza gli scudi dopo una infelice uscita di Maurizio Landini: «Il segretario della Cgil, obnubilato dal rancore, mi definisce in tv una cortigiana. La sinistra, in mancanza di argomenti, dà della prostituta». Fratelli d’Italia parla di «becero sessismo». Solidarietà alla premier da Pina Picierno, riformista del Pd. Landini in serata è stato costretto a precisare: «Nessun insulto sessista e nessun rancore».

La maggioranza, anche in fase dialettica, tiene: Forza Italia incide il suo «no» a ogni prelievo punitivo, ma dice «sì» a una donazione guidata al bilancio. La Lega cerca un equilibrio tra Salvini e la filiera veneta di Zaia, con la mina Vannacci sullo sfondo. E Tajani può andare a Napoli per aprire la campagna elettorale e parlare della scelta dell’assessore Nicola Caputo di lasciare Italia Viva dopo essersi dimesso da assessore perché non voleva andare con uno schieramento di estrema sinistra: «È la dimostrazione di quanto malessere ci sia in uno schieramento che oggi ha cambiato pelle», dice Tajani. Che prosegue: «La leadership di Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli è una leadership di sinistra, a volte anche di estrema sinistra. È una libera scelta ma il compito nostro è quello di essere un punto di riferimento di elettori centristi».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.