La manovra arriva oggi al capolinea senza grandi colpi di scena. La politica infatti non ha la forza di mettere in discussione una Legge di bilancio su cui le forze produttive avrebbero molto da dire. Dopo l’approvazione ottenuta dalla Camera prima di Natale, oggi è arrivato il via libera del Senato. Obiettivo essenziale è evitare l’esercizio provvisorio che scatterebbe se non fosse approvata entro il 31 dicembre. Da qui la mancanza di discussione parlamentare e l’assenza di emendamenti da parte della maggioranza.

Il governo zittisce così il Parlamento. Prassi che Fratelli d’Italia denunciava quando a Palazzo Chigi c’era Draghi. Giorgia Meloni ha i suoi buoni motivi per festeggiare la fine d’anno in serenità. Il suo governo ha saputo mettere in fila dei buoni proposti che sembrano realizzabili e gli alleati non le hanno fatto dispetti. Ma la sua è pur sempre una solidità politica irrobustita dall’evanescenza dell’opposizione. Il Pd è alla ricerca di un “federatore”, illuso che un personaggio del genere – con un nome già di per sé inconsistente – possa ricucire le divisioni interne e ricostruirne il ruolo di forza primaria nell’opposizione.

L’M5s, a sua volta, ricorderà il 2024 come l’anno del grande scisma, in cui come in tutti i divorzi ci sono state lacrime e sangue e nessuna delle due parti pretende di ammettere le proprie colpe. Da un contesto del genere, è difficile che sarebbe potuta venir fuori uno scontro parlamentare davvero efficace. Diversa è la prospettiva economica. Con i suoi 30 miliardi di euro, la legge di bilancio si concentra su Irpef e taglio al cuneo fiscale degli stipendi. Interventi nobili, ma insufficienti per un’economia in affanno. Da mesi Confindustria richiama l’attenzione sul rallentamento dell’industria manifatturiera. Nella sua ultima Congiuntura flash, il Centro Studi di Viale dell’Astronomia ha rilevato che la produzione è rimasta invariata tra novembre e ottobre 2024, ma ha subito un calo del 3,6% su base tendenziale.

Federmeccanica è stata più netta. Nel terzo trimestre 2024, la produzione metalmeccanica/meccatronica si è contratta dell’1,6% rispetto al secondo e si è ridotta di quasi il 4% su base annuale. Un calo più marcato di quello rilevato per la produzione di tutta l’industria che, invece, è diminuita dello 0,6% sul trimestre precedente e dell’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2023. Auto, moda e industria petrolifera sono i settori più in crisi. Servizi e turismo vanno in controtendenza. Ma si sa che questi non sono sufficienti per farci stare bene. Chi si ostina a dire che Colosseo e Cappella degli Scrovegni – con tutto il rispetto per l’arte – basterebbero per renderci un’economia leader in Europa A) si illude che basti un parco giochi per vincere le sfide dell’economia globale; B) si dimentica che il Made in Italy è una cosa seria e che la sua è una storia di industria manifatturiera.

È sulla posizione delle forze sociali, infatti, che il governo dovrebbe riflettere. Per quanto con toni moderati rispetto alle presidenze passate, la Confindustria di Orsini ha più volte osservato che stiamo perdendo terreno in fatto di competitività. Il caro energia e i costi del lavoro ci rendono un territorio poco attrattivo per gli investimenti stranieri, quanto anche indeboliscono le nostre esportazioni. È dai tempi della Presidenza Boccia (2016-2020) che l’associazione ammiraglia dell’imprenditoria italiane non indirizzava critiche tanto chiare al governo.

Ribadiamolo: con toni più moderati. Un po’ perché Boccia ce l’aveva con il Conte I. All’epoca era un po’ come sparare contro la Croce Rossa. Ma anche perché, a onor del vero, i rischi di oggi sono di gran lunga più contenuti. Tant’è che Confindustria è riuscita a portare a casa risultati interessanti – Energy Release e Transizione 5.0 – realizzati i quali potrebbero riportare il sereno con Palazzo Chigi.

Diversa è la questione con i sindacati. Gli scioperi delle ultime settimane lasciano pensare che siamo entrati in una fase di tensione. A fiamma bassa, forse, ma questa è. Negli ultimi mesi, le uscite di Landini sono andate oltre le questioni lavoro ed economia. È il segno che ambisce a qualcosa di più. Per esempio nel Pd. O comunque a livello politico. Non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse che la rivolta sociale auspicata dal Segretario della Cgil non è proprio la ricetta ottimale per un paese in perenne conflitto su tutto.