Sergio Mattarella non si è tirato indietro nel messaggio di Capodanno, neppure sul carcere. Dopo la parola forte, “indulto”, di Papa Francesco che ha aperto la Porta Santa a Rebibbia e dopo che il ministro Carlo Nordio ha lanciato il suo programma di umanizzazione della pena, è toccato al presidente della Repubblica prendere la parola. Tre voci autorevoli, fondamentali. La situazione è dunque eccellente e ricca di speranze per il prossimo futuro? Eh no, perché il 2024 si è chiuso con numeri cupi e tragici. Non solo perché 89 sono stati i suicidi tra i detenuti e 6 tra gli agenti di polizia penitenziaria, ma anche perché 243 persone in Italia sono morte da prigioniere. Morte naturale, si dice, ammesso che ci sia qualcosa di naturale nel lasciare la vita in una cella, chiusi tra mura invalicabili. Persone che tra quelle mura scontavano la pena.

Non c’è certezza se la pena è disumana

Tocca così al capo dello Stato spiegare al colto e all’inclito che non c’è certezza se la pena è disumana. E precisare, chiarire, puntualizzare che prima di tutto viene la Costituzione. La legge delle leggi che “indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere”. Si attribuisce al sovraffollamento la responsabilità di vite che non sono vite, se si sta stipati in 10mila in più del dovuto e del previsto. Ma questi numeri, spiega ancora Mattarella, semplicemente contrastano con la Costituzione: “I detenuti devono poter respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti all’illegalità e al crimine”. Ed ecco che con questa parola, l’aria, il presidente ha dato una bella risposta a quel sottosegretario che invece aveva detto di voler togliere il respiro ai prigionieri (o forse solo a quelli mafiosi). Ma è proprio il concetto di pena, voluto dai padri costituenti con l’articolo 27, che torna in discussione con la presa di posizione di Papa Francesco e anche con la proposta di “indultino” del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, così come con le interviste del Guardasigilli e con l’intervento del presidente del Cnel Renato Brunetta.

Il fallimento dello Stato

Il carcere come privazione della libertà, e nulla altro di aggiuntivo. Questo dovrebbe essere un programma di governo. E se non si è in grado di garantire una vita “normale” (per quanto possa esserlo il vivere in cattività) alle persone prigioniere, sia condannate che in attesa di giudizio (e quindi innocenti), allora si ha il dovere di provvedere subito e con tempi certi a sbloccare una situazione che, ce lo dice un presidente che è anche giurista, è contraria alla Costituzione. “Indulto” o “indultino” non sono parolacce. È quello che ha detto giorni fa per esempio il presidente del Senato, Ignazio la Russa. “Quando tu dai cinque anni di carcere devi sperare che in quei cinque anni il condannato migliori, ma contemporaneamente che paghi la sua colpa. Il problema è: riusciamo noi a dare alla detenzione queste due funzioni? Se riusciamo a darle non abbiamo bisogno né di amnistia né di indulto. Se non ci riusciamo, a volte è corretto rifugiarsi in amnistie o in piccoli indulti”. Ecco ben espresso il concetto di fallimento dello Stato. Non in particolare di questo governo o del precedente: stiamo parlando di un fallimento storico, in cui il termine “sovraffollamento” viene pronunciato con disinvoltura come fosse un dato ineluttabile.

Le alternative

Il programma del ministro Nordio, che si dice contrario a qualunque forma di amnistia o di indulto perché sarebbero “segnali di impunità”, è ineccepibile: umanizzare la pena incrementando “attività culturali, lavorative o sportive dentro il carcere, o modalità diverse dai penitenziari per scontare il proprio debito con la giustizia”. Ma c’è urgenza e ci vogliono date certe. C’è qualcosa che si potrebbe fare anche subito, con provvedimenti amministrativi: mandare a casa in detenzione domiciliare (come fu fatto quando c’era la pandemia di Covid-19) le persone anziane e malate, così come coloro che devono scontare solo un residuo di pena di uno o due anni. Ma esiste una volontà politica? O il concetto di “certezza della pena” continua a prescindere da quella qualità, da quella modalità della pena che Mattarella ha definito come contraria alla Costituzione?

Recidiva zero

Brunetta – già ministro ed esponente di Forza Italia – ha lanciato la campagna della “recidiva zero”, in sintonia con il programma del ministero della Giustizia, ma chiarendo anche che “nel frattempo” quantomeno l’indultino proposto da Pinelli sarebbe indispensabile e urgente. Ascolterà queste autorevoli voci la compagine di governo? A partire da quella FI che, sotto la guida di Silvio Berlusconi, nel 2006 votò a favore dell’indulto.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.