Storico e saggista, Maurizio Molinari ha diretto, dopo La Stampa, Repubblica, di cui oggi è editorialista. Con “La nuova guerra contro le democrazie”, sottotitolo “Così le autocrazie vogliono stravolgere l’ordine internazionale”, pubblicato da Rizzoli con le cartografie di Laura Canali, Molinari ci porta a conoscere più da vicino i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e le fibrillazioni militari lungo gli stretti di Taiwan. Non come teatri di scontro diversi ma come fronti asimmetrici della grande guerra d’attrito che Russia, Iran e Cina stanno combattendo contro le democrazie. «Ci aspetta probabilmente il decennio più pericoloso, imprevedibile e allo stesso tempo più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale», ci dice Molinari.

Nel suo libro gli equilibri incerti del mondo nuovo sono una fotografia in movimento. Cosa può cambiare con l’anno nuovo?
«Nel 2025 le maggiori novità verranno da Donald Trump. Si insedierà alla Casa Bianca con l’obiettivo di siglare due cessate il fuoco, in Ucraina e Gaza, per porre fine agli attuali conflitti innescando una dinamica nuova, tesa ad isolare la Cina. Se Trump avrà successo, Europa e Medio Oriente inizieranno un percorso fatto di opportunità e pericoli. Se invece Trump fallirà, questi due conflitti diventeranno più estesi e brutali. In entrambi i casi emergeranno alcuni leader mentre altri tramonteranno. Sarà un anno spartiacque, che metterà l’Europa e tutti noi a dura prova».

L’insediamento di Trump può contribuire dunque a risolvere, o la risoluzione in Ucraina o rischia di obbligare Zelensky alla resa?
«Il cessate il fuoco a cui Trump lavora in Ucraina si basa su uno scambio: Zelensky rinuncia a Crimea e Donbass mentre Putin pone fine alla guerra che ha iniziato nel 2022 e rinuncia a destabilizzare l’Europa. È una trattativa difficile: per entrambi si tratta di passi indietro molto significativi. Zelensky cede sull’integrità territoriale, Putin sul sogno imperiale. Se Trump riuscirà, nessuno dei due acerrimi rivali avrà vinto o perso ed avremo in Europa un conflitto congelato, come avvenuto in Corea dal 1953 ad oggi. Se Trump fallirà, lo scontro Nato-Russia diventerà frontale».

L’Europa non contribuisce alla stabilità del mondo: Francia e Germania non sono mai state così deboli…
«L’Europa dovrà contribuire ed in maniera assai concreta. L’eventuale accordo in Ucraina porterà a schierare un contingente di interposizione di almeno 30-40 mila militari per garantire la tregua. E dovrà essere in gran parte europeo. Così come in Medio Oriente l’Unifil dovrà rafforzare la missione nel Sud Libano e Gaza avrà bisogno di un contingente euro-arabo per mantenere la sicurezza. Sono scenari che suggeriscono come I Paesi europei saranno chiamati a impegnarsi e i governi dovranno spiegarlo alle rispettive opinioni pubbliche».

L’Italia si ritrova a fare da perno alla stabilità europea. Un ruolo inedito. Meloni saprà far evolvere il suo partito e il suo governo, diventerà, come vaticina qualcuno, la futura Merkel?
«Italia e Germania hanno l’opportunità di essere protagoniste. Perché Meloni guida il governo più stabile della Ue e perché a Berlino nascerà in febbraio un nuovo esecutivo. Per cogliere tale opportunità però i leader dei due governi dovranno assumersi responsabilità senza precedenti. E dovranno anche riuscire a coinvolgere gli altri europei. Perché l’Ue cresce solo se procede assieme».

La tesi del suo libro è che le autocrazie piacciano ormai molto più delle democrazie, complice il populismo. Un ciclo già visto un secolo fa si ripete oggi, in altre forme?
«Le autocrazie seducono perché esaltano il potere forte di chi le guida. Come populisti e sovranisti sognano. Per reagire le democrazie devono dimostrare di essere più efficaci nel garantire prosperità e sicurezza. Ovvero, devono proporre soluzioni concrete alle tre sfide più difficili: diseguaglianze, migranti e corruzione».

Orbán rimane il leader europeo più vicino a Putin. L’Europa può continuare a mettere l’estensione di diritti e libertà in secondo piano?
«Orbán si afferma come leader dei sovranisti perché sul fronte opposto i progressisti europei non hanno risposte efficaci a diseguaglianze e migranti così come sono lacerati sulla sicurezza. Resta da vedere se sarà la Cdu, dopo l’attesa vittoria in Germania, a prendere la guida del fronte europeista».

Le ingerenze russe non sono mai state tanto forti. Per la prima volta nella storia un paese europeo, la Romania, ha visto annullare le elezioni a causa di ingerenze. E sull’Italia, ci sono ma se ne parla poco?
«Anche il nostro Paese ha subito e subisce ingerenze nocive da parte di attori russi e cinesi. È un processo divenuto evidente durante il Covid, continuato contro il governo Draghi e che si è intensificato con le campagne online di fake news pro-Putin, pro-Hamas e anti-Mattarella. Siamo uno dei campi di battaglia della guerra ibrida delle autocrazie, il cui intento è far implodere le democrazie esaltandone i contrasti interni».

L’Agenda Draghi è un ricettario di piatti da mettere in tavola, un manuale di sopravvivenza o un libro dei sogni?
«L’Agenda Draghi indica all’Europa l’unica strada possibile per non essere schiacciata dalla competizione Usa-Cina. L’Ue deve essere più coesa e forte: per questo ha bisogno di riforme coraggiose. A cominciare da quella dell’Antitrust per consentire di essere protagonisti su terreni come hi-tech, difesa e sanità a livello globale».

Auspica anche lei, da europeista, gli Stati Uniti d’Europa. Mentre li costruiamo, proviamo a dotarci di una difesa comune? Serve, come avverte Rutte, una mentalità diversa, una cultura predisposta ai sacrifici della guerra?
«Il federalismo europeo resta senza alternative. La difesa comune è urgente e irrinunciabile. E obbligherà, in ogni Paese Ue, i partiti europeisti a sfidare a viso aperto populisti e sovranisti».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.