Il Foreign Office britannico è in contatti diplomatici con Hayat Tahrir al-Sham (Hts), la milizia jihadista che, al comando di Abu Muhammad al-Jawlani, ha defenestrato Assad in Siria. Lo ha detto l’altro ieri David Lammy, Segretario di Stato del governo Starmer, per quanto finora la notizia non abbia fatto una grande breccia nel cuore dei media continentali.

Tuttavia, Londra arriva prima di Bruxelles. È solo di ieri l’intenzione pubblica del responsabile della diplomazia Ue, Kaja Kallas, di fare altrettanto. La trama della ricostruzione siriana comincia a svilupparsi. Con un ben chiaro gioco delle parti. Israele si è accollato il compito di neutralizzare qualsiasi arsenale e ordigno che, in quei posti, è meglio far brillare il prima possibile. Gli occidentali invece cominciano le trattative politiche. Un po’ per valutare l’affidabilità di al-Jawlani. Un po’ per evitare che la Turchia abbia fin troppa mano libera sul campo. Così, mentre Washington si limita alle frasi di circostanza – pace a Gaza e no jihad in Siria – e a sua volta Bruxelles cerca di farsi vedere dov’è già in ritardo, Londra ha la meglio per proseguire con una politica estera ad ampio raggio. Nel frattempo, Assad è tornato a parlare da Mosca con un’interpretazione dei fatti tutta sua. E che forse la prima a sconfessarla sarebbe la Russia.

Ma torniamo nel Regno Unito. È noto infatti che il governo Starmer voglia ricostruire i rapporti d’oltremanica. Dalla sua ha il 55% dei britannici, che, secondo un sondaggio dello European Council on Foreign Relations, sarebbe favorevole a una relazione “più stretta” con l’Unione europea, piuttosto che seguire gli Usa di Trump su questioni come Cina e Ucraina. Se questo è vero e a prescindere da come la pensi l’Ue, il governo britannico ha bisogno di acquisire un potere contrattuale elevato, per poter confrontarsi con i 27 suoi ex partner continentali che non le hanno perdonato lo sgarbo di otto anni fa.

I tre tavoli da gioco di Starmer

Starmer per questo starebbe giocando su tre tavoli da gioco. In Siria, l’apertura ad Hts nasce dalla presenza non dichiarata del Sas – le forze speciali di Sua Maestà – inviato a “osservare” la guerra civile fin dal suo scoppio nel 2011. Londra conosce il territorio e sa con chi parlare per capire se al-Jawlani è davvero una brava persona. Questo le è possibile grazie al fatto di non dover rendere conto a nessuno. Ovvero all’Europa. Un’autonomia operativa confermata anche in un secondo quadrante di crisi: l’Ucraina, conflitto in cui il Regno Unito è da sempre un falco. Terzo tavolo da gioco è quello indo-pacifico, molto lontano per le scarse diottrie europee, ma visto che con Trump e il suo conflitto personale contro la Cina, quel mondo tornerà a essere centrale, Londra pretende di esserci. Da qui la ratifica del suo ingresso nel Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp), accordo di libero scambio dove può parlare con suoi partner preferenziali come Australia, Canada e Nuova Zelanda, mercati emergenti (Malesia, Messico e Vietnam) e alleati tradizionali (Giappone e Usa).

Starmer e l’Europa, meglio se vicini…

Va bene, ma tutto questo che ha a che fare con la Siria, Kyiv, l’Europa? La domanda è lecita. Proviamo a rispondere da due prospettive. Da europei, si potrebbe dire che ci riguarda ben poco. Al netto delle frontiere, che da entrambe le sponde della Manica vorremmo fossero più aperte, è difficile riavvicinare i contatti con Londra. Le due finanze viaggiano in parallelo. Il manifatturiero pure. Ammesso che l’Inghilterra ne abbia ancora uno. Quindi l’unico tavolo comune è la Nato. Dove però Starmer rischia di concorrere con altri comandanti, altrettanto ambiziosi: Rutte, Macron, tutto sommato perfino Giorgia Meloni. Tutti leader che, in caso di allentamento delle redini da parte di Washington, potrebbero ambire a un ruolo protagonista. Vista così, l’Inghilterra ha rispolverato un suo antico approccio da bucaniere, con tanti interessi in giro per il mondo, ma i cui benefici per l’Ue risultano scarsi.

Se fossimo inglesi però risponderemmo “hold on!”. Gli Stati Uniti si avviano a un intensificarsi dei rapporti con la Cina e, forse, a un nuovo dialogo con la Russia. Il Mediterraneo è nuovamente in fiamme. Il focolaio siriano infatti può accendere la miccia della Santa Barbara in Libia. E da lì in Africa. Infine c’è l’Ucraina. Mai come in questo momento, l’Europa ha avuto bisogno del maggior numero di alleati possibili. Meglio se vicini. E che siedano nella stessa alleanza atlantica. È questa la tesi che Starmer porterà al summit di Bruxelles a febbraio, dove per la prima volta dalla Brexit un premier britannico tornerà a parlare con tutti i membri Ue. Potrebbe avere un senso ascoltarlo.